The island: Valentinswerder in Berlin

Il bluff sortì l’effetto sperato: tratti in inganno dalle luci accese a festa dai nazisti in tutte le case, gli Alleati, convinti di colpire il centro industriale dei Borsig Werke, una notte dell’inverno 1943 fecero piovere una pioggia di bombe sulla vicina isola di Valentinswerder, la seconda per grandezza del lago di Tegel. Fu ridotta così nel giro di poche ore ad un cumulo di macerie, immolata sull’altare della ragion di stato, una delle mete di turismo domenicale più care ai berlinesi durante la Belle Epoque e gli anni della Repubblica di Weimar. «Pur essendo situata in piena città, a pochi chilometri di distanza dal Kurfürstendamm, a Valentinswerder si respirava l’atmosfera gioiosa e rilassata di una località balneare», spiega Hannes Haberkern, l’attuale proprietario dell’isola, sfogliando le pagine di un album di fotografie scolorite dal tempo, scattate sull’isola durante gli Anni Venti. In una si vedono allegri bagnanti in costume intero che si tuffano dal molo. Un’altra ritrae le tavolate stracolme di boccali di birra del “Golf von Neapeln”, il ristorante dell’isola. Sullo sfondo, un battello a vapore turistico con ruota a pale. In un’altra istantanea,  una famiglia posa irregimentata davanti ad una elegante villa in stile Gründerzeit. «Di quei begli edifici, quelli risparmiati dalle bombe si contano sulle dita di una mano: il 95% andò distrutto». Fu Paul Haberkern, ricco costruttore berlinese nell’epoca della Gründerzeit e trisavolo di Hannes, ad intuire, attorno al 1880, che quel paradiso per uccelli e cinghiali completamente disabitato aveva il potenziale per essere trasformato in un elegante buen retiro per la buona società della capitale prussiana. Allo scopo ingaggiò uno dei più noti architetti del paesaggio dell’epoca, cui affidò la parcellizzazione del terreno in lotti edificabili e la razionalizzazione degli spostamenti sull’isola attraverso la creazione di due viali alberati ortogonali e di una idilliaca passeggiata panoramica in riva al lago. «Nell’immediato dopoguerra, quando in città scarseggiava il cibo, sull’isola fu improvvisato un grande un orto urbano. Col passare dei decenni, furono l’edera e le erbacce ad rimpadronirsi di Valentinswerder».  A metà degli anni ’90, il padre di Hannes Haberkern decide di ricomprare, appezzamento dopo appezzamento, la quasi totalità dell’isola, risuddividerla in lotti, sulla base della vecchia planimetria d’inizio secolo, e, sull’esempio del suo avo, metterli a disposizione di terzi per la costruzione di nuovi edifici. Prende forma così, anno dopo anno, la Valentinswerder che si presenta oggi agli occhi del visitatore: un’oasi di pace per l’intelligencija creativa berlinese. «I primi a ricolonizzare l’isola furono degli accademici, soprattutto psicologi, del quartiere bene di Prenzlauer Berg. Poi, sull’esempio della coreografa Sasha Walz, tra le prime ad acquistare una dacia a  Valentinswerder, l’isola è stata via via scoperta da artisti e intellettuali.  Con lo sbarco di questa nuova generazione di creativi, l’isola si trasforma in un terreno di sperimentazione per gli architetti più affermati della città, cui vengono commissionate dacie dal gusto contemporaneo, accomunate da un forte carattere individuale e dalla volontà di risuonare il più possibile con l’ambiente circostante». Col risultato che oggi passeggiare per Valentinswerder equivale ad un vero e proprio safari architettonico. Tra gli incontri più spettacolari,  quello con la “parete di metallo riflettente” che protegge da occhi indiscreti un bungalow opera degli architetti Sascha e Lars Krückeberg e Wolfram Putz. Lunga circa quindici metri e di forma rettangolare, con tre di aperture per la porta e le finestre, essa riflette il bosco in un camouflage quasi perfetto che ricorda il Mirror Cube disegnato da Tham & Videgard a Harads in Svezia. Poco distante, ci s’imbatte nella “L-Haus”, opera di Philip Raum e Linn Voss,  un gioiello di legno e vetro a forma di L: sul lato lungo, come le celle di un convento, si aprono una accanto all’altra le porte di tre spartane stanze da letto. Il braccio breve della L è adibito invece agli spazi comuni, cucina e bagni. «Molte delle nuove architetture sorte qui a Valentinswerder costituiscono brillanti esempi di “architetture conviviali”, concepite per essere condivise da più di un nucleo familiare. Sull’isola si viene infatti spesso con gli amici, e alcune delle nuove dacie riflettono questa esigenza». E’ il caso anche della “Studentenhaus”, una futuristica costruzione in legno di betulla dalle finestre insolitamente sovradimensionate, progettata e realizzata nel 2005 dagli studenti dell’Accademia delle Belle Arti di Berlino sotto la supervisione dell’architetto danese Par Pedersen. Concepita per essere fruita da due nuclei familiari, essa si articola in due costruzioni dal design minimale, la “casa lunga e la casa larga”, unite da un pontile in legno che ricorda quello del vicino molo. In esse ci si ritira la notte per dormire, mentre le attività diurne in comune si svolgono invece all’interno di un terzo modulo poco distante. «I due monolocali della “Stundentenhaus” sono stati concepiti per “assorbire” il più possibile la natura circostante: il design essenziale e leggero delle grandi finestre — prive di infissi e, grazie ad un sistema di apertura pedale,  anche di maniglie — le rende pressoché invisibili dall’interno, creando l’illusione di dormire in un ambiente semi-aperto, come in una tenda di campeggio», spiega Per Pedersen. «In questo progetto, come nella vicina “Haus 53”», un’altra avveniristica dacia in legno, strutturata in un piano terra e un mezzanino rialzato, sempre opera di Pedersen, «sono le condizioni al contorno dettate dal paesaggio – il lago, il bosco, il cielo – a determinare l’orientazione della costruzione e delle sue aperture. Il minimalismo estremo, infine, vuole essere un tributo al carattere spartano della vita sull’isola, che ancora oggi è sprovvista di acqua corrente. Fino a pochi anni fa mancava anche l’elettricità». «Ci troviamo all’interno del perimetro cittadino, ma qua a Valentinswerder è la Natura ad avere l’ultima parola»,  racconta l’attrice e compositrice di opere Adriana Altaras, tra le prime a costruirsi, già alla fine degli anni ’90, una “casa mobile” di legno, a forma di vagone, poggiante su quattro ruote. Oggi le case-vagone di Valentinswerder, una trentina all’incirca, tutte concentrate nell’area confinante ad un vecchio campeggio, creano l’illusione surreale di un accampamento circense. «Qualche anno fa, il giorno prima di un’importante première teatrale, mi ritrovai bloccata sull’isola dal ghiaccio. Si fugge dalla metropoli sull’isola per cercare un abbraccio con la Natura… che a volte può risultare più stretto del dovuto»,  ironizza Altaras. «E ci si riscopre moderni Robinson Crusoe a mezz’ora dalla Potsdamerplatz»

Pubblicato su Casa Vogue, Ottobre 2016.

Photo credit: Steven Kohlstock

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