Alias THOMAS COSTANTIN, poliedrico performer con la passione per il ROSSO, in tutte le sue sfumature.
Al debutto del suo terzo ALBUM, ci spiega il suo rapporto con la MUSICA. E il misticismo.
Dear Jad e performer ossessionato dal colore rosso, Thomas Costantin, noto anche come The man in red, ci racconta Destination Experience: un evocativo album a metà strada tra elettronica, dance, wave e musica d’ascolto – la terza uscita discografica della sua carriera dopo Variations (2019) e l’EP Le città (2021) – che elude facili categorizzazioni di genere. «Ho iniziato
a lavorare ai brani confluiti in questo album poco prima dello scoppio della pandemia, all’epoca in cui
vivevo tra Parigi e Milano», esordisce il poliedrico cantante e performer padovano, noto al popolo della
notte milanese come DJ resident del Plastic e per fare presenza fissa alla consolle di sfilate e eventi delle
fashion week milanesi. «Costretto dall’emergenza Covid a tornare a vivere in pianta stabile a Milano, decisi di rimettere
temporaneamente questo progetto in lingua inglese nel cassetto, per dare la precedenza al mio EP pop in
lingua italiana (Le città, ndr), col quale ho voluto celebrare il mio rientro in patria», prosegue. «Non potevo sospettare, allora, che sarebbe seguito un lungo periodo di introspezione, che mi avrebbe portato a sospendere per circa un anno ogni attività musicale».
Progetto di lenta sedimentazione, frutto di un intenso percorso di autoconoscenza e ricerca, Destination Experience è un album più intimo e personale dei precedenti, oltre che più ricercato sul fronte del sound, grazie anche alla collaborazione con Heavy Soul Studio, la sala di registrazione di Daniele Cavalli a Firenze. «Mi premeva stemperare la musica elettronica, di per sé fredda e artificiale, con calde e “umane” sonorità vintage, motivo per cui ho scelto di registrarlo su vecchi banchi analogici, come era prassi fare fino agli anni ’80», rivela. «Rinunciare alla comodità del computer mi ha fatto scoprire un modus operandi fisico e artigianale, caratterizzato da una forte componente tattile, che mi ha portato a instaurare con la mia musica una relazione più epidermica, viscerale. A questo si aggiunga che la gestualità ripetitiva, a tratti ossessiva, legata all’uso di questi ingombranti macchinari
conferisce all’intero processo di registrazione un alone di sacralità. Soprattutto la notte, nello studio così immerso nel silenzio da sembrare la cripta di un tempio, mi sono sentito l’adepto di un culto misterico». L’afflato mistico, rivela, ha nel frattempo contagiato anche la sua pratica di DJ. «Tornare a esibirmi dal vivo, dopo la pandemia, è stato uno shock. Mi sono sentito spinto di prepotenza dentro un mondo fatto di volumi alti e apparenza, al quale, reduce da un anno di silenzio e spartana concretezza, non ero più abituato», prosegue. «Mi sono ritrovato così a desiderare di reinventare il mio modo di essere DJ, infondendovi poesia, mistero e spiritualità. Andando oltre l’aspetto meramente ludico della professione, un DJ, elevandosi a “vate”, può ambire a molto di più: officiare un rituale collettivo in onore del Dio della Musica, misterioso e potente. Dal dancefloor si sprigiona allora un’energia estatica e inebriante, mentre la musica acquisisce una strana e “fluida” consistenza che ti dà l’impressione di esservi “immerso”; quasi fosse l’acqua di un mare, l’aria di un vento di tempesta, o il silenzio ovattato di una foresta dopo una nevicata». Lo scatto di Cuba Tornado Scott scelto come copertina dell’album – dominato dal colore rosso, non poteva essere altrimenti per The man in red – ritrae l’artista mente scosta con la mano la quinta di un teatro, investito da un fascio di luce fumoso e materico. «Rappresenta la musica in queste estatiche occasioni: così “densa” e avvolgente, da dare l’illusione di poterla suonare, come
uno strumento». L’album è uscito il 14 ottobre.
Pubblicato su Vogue Italia, novembre 2022