Grazie alla diffusione di social network e smartphone, i consumatori hanno acquisito un potere di dialogo e di confronto con le aziende impensabile solo pochi anni fa: oggi esigono di customizzare, se non addirittura di co-disegnare il prodotto, verificare sul web la veridicità di ogni claim e, in generale, di interagire in maniera personalizzata, in un dialogo “tu per tu”, in cui le aziende si adattano alle nuove esigenze del consumatore, cambiando radicalmente le proprie strategie di marketing. Dieci tra le principali tendenze che stanno rivoluzionando il mondo della pubblicità nell’era del “consumer empowerment”.
1. Collaborative design
Attraverso la fan page australiana e per mezzo di un’applicazione Facebook, l’impresa di ristorazione internazionale Domino’s Pizza ha chiesto ai propri fan australiani di scegliere nome e ingredienti di una nuova varietà di pizza da inserire nel menu ufficiale, con ottimi risultati in termini di vendite. Anche numerosi colossi internazionali dell’abbigliamento e accessorio sportivo, come Nike, Oakley hanno abbracciato recentemente la pratica di adattare il design dei propri prodotti in funzione dei feedback dei consumatori, raccolti con sistemi di voto online e concorsi a premi. Coinvolgere la propria clientela nel design del prodotto è una strategia di marketing sempre più comune, che risponde alla crescente esigenza dei consumatori empowered di entrare in dialogo con l’azienda. Quella a cui assistiamo è una duplice metamorfosi: da un lato i consumatori diventano co-designer, dall’altro il brand si fa “piattaforma d’ascolto”, deputata a raccogliere i feedback di clienti desiderosi di dire la loro sui prodotti. In questo modo, l’azienda cede da un lato parte del proprio potere decisionale, ma dall’altro aumenta la probabilità di avere una clientela soddisfatta e motivata.
2. Word-to-mouth advertising: creare un esercito di “evangelisti del brand”.
Uno degli scopi primari del marketing nell’epoca del consumer empowerment è convertire i consumatori in Brand Evangelist, indurli cioè a parlar positivamente del marchio sui social network o, a voce, ai loro amici e familiari. Una forma di pubblicità “orizzontale” che non piomba dall’alto, per bocca dei canali pubblicitari classici come tv e radio, ma procede attraverso un passaparola tra consumatori, che, se ben congegnata, può rivelarsi estremamente efficace. Per innescare il tam tam, una pratica diffusa è quella di creare piattaforme ad hoc sul web che, con espedienti sempre diversi, forniscano i presupposti perché il consumatore, in maniera più o meno conscia, diventi ambasciatore del brand presso i propri contatti sui social network. Per esempio, nell’aprile del 2013 per il lancio del nuovo Karl Lagerfeld Store ad Amsterdam, la casa di moda ha creato un’app con cui i visitatori del negozio, per mezzo di tablet fissati alle pareti dei camerini, hanno avuto l’insolita possibilità di condividere istantaneamente, con un’inquadratura e una grafica accattivante, i vari look proposti dal brand con gli amici, e chiedere loro un parere prima dell’acquisto. La fatidica domanda “Dici che mi sta bene?”, rivolta a un’intera rete di contatti e non più solo a un annoiato compagno di shopping in carne e ossa ha garantito alla maison uno straordinario ritorno di visibilità.
3. Il content marketing:
Buone notizie per i giornalisti: a dispetto della crisi dell’industria della carta stampata, pare che le aziende avranno sempre più bisogno di loro, stando almeno alla rapida crescita del content marketing, la pubblicità basata sulla creazione di contenuto (testo, video, immagini ecc.) in grado di suscitare un sincero interesse nel pubblico. «Per acquisire notorietà sul mercato, consolidare il rapporto di fiducia con la propria clientela e, soprattutto, attrarne di nuova, sempre più aziende si trasformano in veri e propri mass media, producendo regolarmente contenuti in grado di interessare il bacino di utenti cui si vuole far conoscere il brand», spiega Joe Pulizzi, CEO del Content Marketing Institute e autore dei bestseller Epic Content Marketing e Content.inc. «Questo può avvenire, per esempio, nella forma di post sui social media, articoli sulla homepage aziendale, e accattivanti newsletter. Nell’era del consumer empowerment, per creare un rapporto duraturo tra cliente e brand non basta più martellarlo di slogan pubblicitari, ma occorre realmente interessarlo, coinvolgerlo, dargli qualcosa in cambio». Alcune aziende, come Moleskine, sono riuscite a creare una piattaforma di contenuti generati non da un team aziendale ma dagli utenti stessi, myMoleskine Community, dedicata alla condivisione di disegni e video creati su e con le pagine del noto taccuino da viaggio. In poco tempo la piattaforma ha saputo attrarre un gran numero di utenti che contribuiscono regolarmente con materiale originale, riuscendo al contempo a consolidare l’associazione tra il brand e un valore positivo come quello della creatività. «E, soprattutto, ad attrarre e fidelizzare la clientela più sensibile all’acquisto dei loro prodotti o servizi: il popolo dei creativi e dei viaggiatori. Non a caso il nostro motto al Content Marketing Institute è: “Costruisci prima il tuo pubblico, poi il tuo prodotto”». O, per dirla con le parole del guru del marketing, Gary Vaynerchuk: «Preferisco avere 10.000 follower di cui 9000 comprano i miei prodotti, piuttosto che averne 100.000, di cui solo 2000 disposti ad aprire il portafoglio».
4. Guadagnare visibilità inserendo il proprio prodotto nella sharing economy
Seguendo l’esempio di aziende concorrenti come Daimler, Ford e BMW, anche Opel, alcuni mesi fa, ha annunciato il suo ingresso nel mondo del car sharing urbano. La trasformazione delle case automobilistiche da meri costruttori a fornitori di servizi va letta anche come una nuova forma di marketing, i cui vantaggi sono evidenti: attraverso un servizio a pagamento, con cui realizza ulteriori profitti, l’azienda ottiene anche che, guidandolo, milioni di possibili acquirenti familiarizzino in prima persona col prodotto, senza peraltro avere la sensazione di essere coinvolti in un’operazione pubblicitaria. Attraverso l’app Car Unity, Opel dallo scorso giugno promette di rivoluzionare il mondo del car sharing estendendo la possibilità di condivisione anche alle auto private. In altre parole, il modello Airbnb, che ha cambiato per sempre il mondo dell’ospitalità consentendo la condivisione di appartamenti, applicato a quello della mobilità urbana. Si rivelerà altrettanto di successo? Di sicuro moltiplicherà la visibilità della casa automobilistica, aumentando il numero di veicoli Opel a disposizione della comunità e, soprattutto, la varietà di modelli, che i cittadini avranno modo di testare.
5. Contest marketing
Partecipare a un concorso, incrociare le dita e sperare di vincere un premio è un’attività per definizione elettrizzante, in grado di riportare molte persone – spiegano gli esperti – all’aspettativa gioiosa dello scarto dei regali della propria infanzia. Lo sa bene che si occupa di marketing e sempre più spesso cavalca l’onda di concorsi e altre forme ludiche di interazione per guadagnarsi l’attenzione e la simpatia del pubblico. Un buon esempio è Arduino, la nota piattaforma open source per la creazione di prototipi elettronici, che regolarmente lancia concorsi per inventori interessati a presentare nuovi marchingegni interfacciabili con la piattaforma. Nella maggioranza dei casi il contest marketing prende la forma di concorso fotografico. È il caso della strategia pubblicitaria impiegata dalla Warner Bros per l’uscita del film L’uomo d’acciaio, dedicato a Superman: ai visitatori della pagina Facebook del film veniva chiesto di caricare foto di se stessi vestiti come il supereroe, dietro alla promessa di premi per le foto più belle e divertenti. Sistemi del genere diventano rapidamente virali: per ottenere più voti gli utenti sono indotti a condividere l’iniziativa sulle pagine Facebook dei propri amici, col risultato che attorno al film si è creata, ancor prima della sua uscita nelle sale, una folta comunità web e una grande aspettativa. Di grande successo anche il concorso Their Real Beauty Should Be Shared (“La loro vera bellezza deve essere condivisa”) sulla pagina web della nota marca di prodotti per il corpo Dove. Il brand ha chiesto ai propri follower di postare la foto di loro conoscenti che considerano esempi di bellezza “reale” e non artefatta, promettendo di impiegare i vincitori del concorso come testimonial delle future campagne pubblicitarie.
6. Coinvolgere i fan di una popstar
Se si prende in esame la capacità di fare da cassa di risonanza di un messaggio pubblicitario sul web, le popstar “inceneriscono” le performance dei colleghi dello sport e del grande e piccolo schermo: basti pensare che Katy Perry e Rihanna possono vantare rispettivamente 77 e 90 milioni di follower su Facebook, mentre Brad Pitt e Robert Pattinson non superano quota tre milioni. Non stupisce dunque che, per quella che è stata annunciata come la «campagna più digitale di sempre», il brand di abbigliamento intimo Calvin Klein abbia scelto il re indiscusso dei social media, la popstar canadese Justin Bieber (più di 59 milioni di follower su Twitter e 77 su Facebook), lanciando una serie di iniziative rivolte ai suoi fan. Come #Calvinkleinlive: un’esibizione live di Bieber trasmessa su calvinklein.com e su altri canali social come Facebook, Tumblr, Twitter, Google+ e, ovviamente, YouTube. Complice anche un piccolo “scandalo” legato all’autenticità dei muscoli di Bieber (photoshoppati o no?) che ha dato ulteriore visibilità alla campagna, Calvin Klein ha concluso la stagione con ben 3,6 milioni di nuovi follower su Facebook. «Nell’era dei social media, più che modelli e modelle vedremo crescere l’importanza di star dal grande seguito sul web come testimonial di campagne rivolte direttamente ai fan, che puntano apertamente a ottenere un “travaso” di follower dalla star all’azienda», spiega Hamish Pringle, consulente strategico dell’agenzia londinese di comunicazione creativa integrata 23red. «Per coinvolgere i consumatori sempre più esigenti, occorre far leva sui loro interessi e sulle loro passioni, e la musica, stando allo straordinario seguito delle sue star sulle piattaforme, è tra quelle che più ha il potenziale di generare traffico».
7. Il selfie nelle campagne pubblicitarie. L’avvento del marketing interattivo
Una recente campagna digitale di Calvin Klein è #mycalvins, nella quale il marchio statunitense ha invitato i propri clienti a postare un selfie indossando un capo intimo del brand. Anche Colgate, per la campagna su Facebook Smile della scorsa estate, ha chiesto ai propri clienti di caricare autoscatti che li ritraggono nell’atto di mostrare i propri sorrisi smaglianti: i migliori sono stati trasformati in poster collage di grandi dimensioni esposti nei supermercati e nei centri commerciali. In base ai dati forniti da WaveMetrix, una società che si occupa di buzz analysis, la campagna ha sortito l’effetto positivo desiderato: non solo sul web si parla 2,5 volte di più del brand, ma il suo nome, grazie ai tanti sorrisi, ne avrebbe guadagnato anche in termini di immagine. Lo sdoganamento del selfie come strumento di marketing è ormai definitivo: sempre più spesso il consumatore finale, diventa addirittura il “volto” delle campagne pubblicitarie. Un buon esempio è la campagna di Philips Express Yourself Every Day, divenuta in breve tempo virale, nella quale i clienti delle note lamette da barba sono stati invitati a caricare online un autoscatto, e, in un secondo momento, a provare virtualmente sul proprio volto i più disparati stili di barba, basette e pizzetti, il tutto tramite i filtri di un’apposita applicazione. Difficile resistere alla tentazione di chiedere un parere agli amici, o, nel caso dei look meno felici, farsi una risata condividendo col tasto share le immagini sulla piattaforma.
8. Il social media marketing si fa sempre più “multi-canale”: crescita dei nuovi social media
Secondo il sito di informazioni economiche Bloomberg, il social-media ad spending, la voce spesa dalle aziende per pubblicità sui social network, passerà da quasi cinque miliardi di dollari alla fine del 2012 a 9,8 nel 2016. Ad aumentare, promettono gli esperti, saranno in particolare le iniziative di marketing che coinvolgeranno anche i social media “minori”, come Pinterest, Google+, Tumblr e Instagram. «La diversificazione del social media marketing su più social network si annuncia come uno dei trend nei prossimi anni», spiega Lauren Kaye, Marketing Editor di Brafton Inc. «Non basta, si badi bene, essere presenti su tutte le piattaforme, quanto fornire, i messaggi e le informazioni che il consumatore, sempre più esigente, si aspetta di trovare su ciascuna di esse». E cioè immagini curiose e interessanti su Pinterest; immagini ad alto impatto estetico, che fungono da premessa al racconto di una storia, su Instagram; pillole di informazione accattivanti, facili da condividere, su Twitter ecc. «Passando da una piattaforma all’altra, il brand deve trovare il modo di modulare opportunamente forma e contenuto del messaggio, e riuscire al contempo a rimanere riconoscibile». Il cambio di strategia di marketing va interpretato come una reazione al fatto che un numero crescente di consumatori si muove ormai regolarmente su più social media. In base a uno studio di Pew Research su un campione di 1000 internauti statunitensi, nel 2014 il 52% degli intervistati aveva un profilo su diversi social network; il 36% almeno su due, il 16% su tre, l’8% su quattro e il 4% su cinque. Mentre tutte queste percentuali di overlap sono in netto aumento, quella di utenti presenti solo su una piattaforma è sceso in un solo anno dal 36% al 28%.
9. “1:1 Marketing”: da generiche “campagne-monologo” a “campagne-dialogo” personalizzate
I tempi del marketing di massa, incentrato su un unico messaggio rivolto indistintamente a milioni di consumatori, paiono sempre più lontani. Grazie a innovazioni rivoluzionarie come Google AdWords, l’1:1 marketing, cioè il marketing ritagliato su misura sul profilo dei singoli consumatori, è una delle più importanti tendenze nel mondo della pubblicità dei nostri giorni. «I consumatori oggi chiedono a gran voce esperienze di acquisto personalizzate, e le aziende, monitorando le attività online dei propri clienti, puntano a intercettare le specifiche esigenze e desideri». Nata online con la diffusione di smartphone ed e-commerce e il conseguente accumulo di immense quantità di dati “cliente-specifici” la tendenza della personalizzazione del marketing si conferma ormai un’esigenza generalizzata dei consumatori empowered, e una carta vincente anche fuori dallo schermo. Un’azienda come Sephora, per esempio, ha moltiplicato le vendite grazie al Color IQ System, un sistema di riconoscimento automatico della tonalità della pelle con cui il colosso della cosmetica è stato in grado di promettere, prima della concorrenza, un’esperienza di acquisto personalizzata. «Ci eravamo resi conto che le nostre clienti cercavano la tonalità di fondotinta o rossetto più adatta al loro incarnato un po’ a tentoni, arrivando ad acquistare fino a sette prodotti di tonalità diverse prima di trovare quello che più faceva al caso loro», racconta Bridget Dolan, VP of Interactive Media di Sephora «Oggi siamo in grado di proporre a ciascuna i prodotti più indicati. La campagna ha avuto un importante ritorno in termini di vendite. I clienti oggi preferiscono dialogare con un’azienda in un rapporto il più possibile diretto, personalizzato, piuttosto che subire, dall’alto, lo sciorinamento di slogan generici, rivolti alle masse».
10. Cause Marketing
La nuova campagna di Enel Energia X, fornisce un buon esempio di una strategia di marketing sempre più diffusa: quella di unire la vendita di un prodotto a iniziative di beneficenza, il cause marketing. Oltre a introdurre, a partire da questo autunno, una nuova bolletta semplificata più facile da interpretare e interessanti modalità di risparmio per il consumatore, Enel ha infatti annunciato un progetto di lunga durata, con cui si impegna a devolvere parte dei proventi delle nuove bollette in progetti di digitalizzazione delle scuole, mediante l’acquisto di computer, tablet ed altra strumentazione informatica. «A determinare il successo o meno di queste campagne pubblicitarie incentrate sull’aspetto umanitario, è solitamente l’esistenza di un legame diretto tra prodotto e azione benevola: è il caso dell’azienda calzaturiera americana TOMS, che promette di regalare un paio di scarpe in Africa per ogni paio venduto», spiega la marketing blogger Joyce Grace. «Una campagna di charity anche molto generosa – si badi bene – non basta a vendere un prodotto scadente», prosegue Grace. «Nel caso di TOMS, il consumatore viene messo nella condizione di acquistare una scarpa non meno trendy e di moda delle altre, e al tempo stesso di fare una buona azione. A essere vincente è la sinergia tra l’aspetto più egoistico legato all’acquisto (“ne traggo un vantaggio personale, una scarpa che mi piace”) e quello più generoso (“do un contributo ai più bisognosi”)». Altrettanto fondamentale per il successo delle campagne di marketing incentrate sul charity, spiega Grace, è «l’esistenza di un legame diretto tra le aree di competenza dell’azienda e il progetto umanitario proposto. Numerosi studi dimostrano che i consumatori si rivelano più sensibili a quelle campagne in cui l’azienda mette al servizio della collettività la propria specifica expertise, considerandole più autentiche e credibili: se TOMS invece di calzature avesse promesso la distribuzione gratuita di servizi digitali il risultato della campagna pubblicitaria, c’è da scommetterci, non sarebbe stato ugualmente soddisfacente».
Pubblicato su Oxygen #27, Ottobre 2015
