Una rivoluzione tecnologica senza precedenti starebbe traghettando l’umanità verso la sua Terza Rivoluzione Industriale: l'”Internet delle cose”, un’infrastruttura intelligente nata dall’integrazione di Internet con altre due reti diffuse capillarmente sul pianeta: l'”Internet dell’energia” (o “smart grid”) e l'”Internet della logistica”, o “Big Data”. La prima consentirà a milioni di persone di produrre e scambiare in rete energia rinnovabile. La seconda, grazie alla diffusione di centinaia di migliaia di sensori all’interno degli oggetti, punta a creare un “sistema nervoso intelligente” della Terra, che ci traghetterà gradualmente verso un’ecologica società “a spreco zero”, dove tutto, o poco ci manca, sarà regolato dall’intelligenza artificiale della rete. Queste le premesse della rassicurante visione del futuro che il guru dell’ecologia Jeremy Rifkin affida alle pagine della sua ultima fatica letteraria, “La società a costo marginale zero: l’internet delle cose, l’ascesa del Commons collaborativo e l’eclissi del capitalismo”, edito da Mondadori ed uscito in Italia a Settembre.
“Nell’era dell’Internet delle Cose, il capitalismo non sarà più il sistema economico dominante. Stiamo già assistendo alla nascita di un nuovo paradigma economico, il cosiddetto “Collaborative Commons”, caratterizzato da un’economia di scambio più che di mercato”, spiega l’influente economista, attivista e saggista statunitense, autore di innumerevoli best-seller come “La terza rivoluzione industriale” ed “Ecocidio” e consulente di capi di stato come Barack Obama e Angela Merkel. “Guardiamoci intorno: mercati un tempo floridi, come quello della musica e dell’editoria, si stanno trasformando in reti peer-to-peer per lo scambio gratuito (si pensi a E-mule o Napster); la proprietà, in generale, conta sempre meno dell’accesso (car sharing); grazie al crowd-funding, assistiamo alla nascita di un numero crescente di iniziative open-source e gratuite, come Wikipedia, che puntano a rimpiazzare i corrispondenti servizi centralizzati e a pagamento. “Si tratta, si badi bene, di un evento di portata storica: era dai tempi della nascita del capitalismo e del socialismo, all’inizio dell’800, che non assistevamo alla nascita di un nuovo sistema economico”. La fine del capitalismo, argomenta Rifkin in uno dei passaggi più convincenti del libro, non è imminente (potrebbe rimanere il sistema dominante per tutta la prima metà del secolo), ma è inevitabile, perché già scritta nel suo DNA. “La logica di mercato spinge gli imprenditori a cercare continuamente tecnologie sempre più efficienti con cui abbattere i costi di produzione. Ma quando l’efficienza del processo produttivo è tale da raggiungere una situazione di “costo marginale vicino a zero”, quando cioè il costo per produrre un’unità aggiuntiva di prodotto (una volta che i costi fissi sono stati coperti) è pressoché nullo, quello steso prodotto cessa, paradossalmente, di essere una merce: poiché replicarlo costa niente o quasi, esso inizia spontaneamente ad essere fatto oggetto di scambio e a circolare gratuitamente in una rete di “prosumer”, consumatori e produttori allo stesso tempo. Un paradosso insito nel capitalismo che ha già messo in ginocchio, nei primi anni duemila, le industrie dell’intrattenimento (musica e cinema) e dell’informazione tradizionale (riviste e giornali), che oggi – questa la grande novità – starebbe scavalcando il muro, che si pensava invalicabile, tra il mondo dei byte e quello degli atomi. “Non più solo canzoni ed ed articoli di giornale possono essere replicati, e condivisi milioni di volte con un click, a “costo marginale vicino a zero”: con la diffusione dell’Internet delle Cose, iniziamo ad osservare lo stesso fenomeno anche con l’energia e addirittura con gli oggetti tridimensionali”, spiega l’economista. Grazie alle energie rinnovabili, ad esempio, il costo di un’unità energetica, una volta ripagati i costi di istallazione e manutenzione di pannelli solari e pale eoliche, è zero. “Il sole ed il vento non ci presentano la bolletta a fine mese!”, ironizza lo studioso, che poi aggiunge “Parallelamente, grazie alla crescente automatizzazione ed efficienza dei flussi logistici, e soprattutto grazie all’invenzione della stampa 3D, che già oggi consente di stamparsi a casa, a costo zero, gli oggetti più disparati, anche il costo per il trasporto dell’unità di prodotto sta crollando a zero”. Rifkin stima che già oggi, milioni di prosumer producono energia rinnovabile o stampano oggetti 3D, a costo marginale prossimo a zero; l’Internet delle Cose connette già oggi 11 miliardi di sensori collegati a case, uffici, negozi e veicoli, ma anche risorse naturali, linee produttive, reti elettriche, network di logistica e flussi di riciclaggi: entro il 2020, gli oggetti connessi alla rete saranno 50 miliardi. “La transizione verso la Terza rivoluzione industriale è già iniziata, ma solo pochi paesi illuminati sembrano aver colto l’opportunità immensa che essa rappresenta”, lamenta lo studioso, che loda la Germania di Angela Merkel, che entro il 2020 alimenterà il 30% della propria economia con energia rinnovabile, e, a sorpresa la Cina, che di recente ha stanziato ben 80 miliardi di dollari per lo sviluppo dell’Internet delle cose. “Una politica lungimirante che non tarderà a dare i suoi frutti. Tanto per cominciare, la costruzione delle nuove reti creerà moltissimi posti di lavoro, fornendoci al contempo un potente strumento per minimizzare il consumo di risorse ed abbandonare i combustibili fossili, aprendo la strada ad “società dell’abbondanza a sostenibilità estrema”. Un ossimoro o un obiettivo per davvero a portata di mano? A chi liquida le sue teorie come vaneggiamenti di un inguaribile idealista, Rifkin risponde secco: “Al momento la visione del futuro che ho è quella, tutt’altro che rosea, di una catastrofe ambientale imminente: entro la fine del secolo, i cambiamenti climatici potrebbero sconvolgere al punto i cicli idrici da causare l’estinzione del 70% delle specie viventi sul pianeta, e nessuno ci garantisce che la specie umana non sia tra quelle”. “Il mio entusiasmo per l’Internet delle Cose nasce, piuttosto, da una considerazione molto pragmatica”, confessa l’economista. “L’Internet delle Cose costituisce, a mio avviso, l’unica speranza di riuscire ad avviare un’azione concertata dei cittadini del pianeta volta a limitare inquinamento ed consumo di risorse, capace di bypassare l’attuale paralisi dei governi ed impartire così al timone una sterzata netta, prima che sia troppo tardi. Creando le basi per trasformare l’umanità in una sorta di “macro-organismo intelligente”, in grado di effettuare, finalmente, le scelte più giuste per il proprio benessere e quello della biosfera, il che è la stessa cosa”.
Pubblicato su Vogue Italia, Gennaio 2015