L’insostenibile leggerezza dello spreco

Contro lo sperpero che contribuisce ad affamare il mondo, è tempo di riscoprire l’antica sacralità del cibo. Come spiega Tristam Stuart, ma anche uno storico volume e una nuova applicazione high-tech

Lo scorso 16 Dicembre cinquemila persone si sono date appuntamento a Trafalgar square, a Londra, per prendere parte ad un banchetto davvero particolare, allestito interamente con cibo recuperato dai cassonetti delle grandi catene di supermercati. Dietro all’iniziativa – chiamata “Feeding the 5000” e nata per creare consapevolezza sul tema dello spreco di cibo – vi era Tristam Stuart, l’autore del libro “Sprechi” (Bruno Mondadori Editore) e “poster boy” del freeganesimo, il movimento di coloro che, per protesta contro un sistema alimentare sprecone, si nutrono per scelta esclusivamente di cibo di scarto. A chi arriccia il naso, Stuart ricorda le drammatiche conseguenze ecologiche dello spreco di cibo nel mondo (se ad esempio fosse dimezzato le emissioni di gas serra sarebbero decurtate del 5%), e sottolinea un risvolto etico della faccenda, fino ad oggi troppo trascurato, che sicuramente farà discutere: “Mentre nei paesi ricchi milioni di tonnellate di cibo vengono buttate nelle pattumiere, ogni anno nel mondo più di 3 milioni di bambini muoiono di fame. Non a tutti è chiaro che i due fatti sono correlati”, tuona l’autore e giornalista a fine manifestazione. “Tra il 2007 e il 2008 una quantità ingente di mais, pari a 19 milioni di tonnellate, fu prelevata dal mercato per soddisfare la richiesta di bioetanolo: come conseguenza, il prezzo di questo cereale aumentò del 60%. Ebbene, la quantità sottratta al mercato dai paesi ricchi per produrre cibo che poi finisce nella spazzatura è più del doppio. I mercati alimentari mondiali sono infatti fortemente interdipendenti: lo spreco di cibo, dunque, ovunque esso avvenga, contribuisce attraverso il rincaro dei prezzi dei generi alimentari ad affamare il mondo”. Lungi dal paralizzarci nel senso di colpa, questa perversa relazione – prosegue Stuart – dovrebbe stimolarci all’azione: con piccole modifiche alle nostre abitudini possiamo dare un enorme contributo, nell’interesse del pianeta e dell’umanità intera. E’ tempo dunque di smettere di acquistare molto più cibo di quanto riusciamo a consumarne, comprandone solo la quantità di cui abbiamo bisogno, e di imparare a riutilizzare gli avanzi, riscoprendo così l’arte antichissima, e ormai largamente dimenticata, di non sprecare nulla in cucina, sia a fine pasto che durante la sua preparazione. Lo si può fare andando a scovare in biblioteca una vera e propria perla della letteratura gastronomica, il bel testo Ottocentesco “L’arte di utilizzare gli avanzi della mensa” di Olindo Guerrini: un’ironica presa in giro del celebre ricettario “L’arte di mangiar bene” dell’ Artusi, in cui l’autore propone una creativa serie di piatti a base di avanzi e ingredienti poverissimi. Gli amanti dell’ high-tech non si lasceranno invece sfuggire la recentissima applicazione per iphone “Love Food Hate Waste”, ideata proprio per suggerire quali piatti preparare con gli avanzi che si hanno di volta in volta a disposizione in frigo: li si sceglie cliccando tra le numerose icone presenti sullo schermo, si agita il telefono e la ricetta antispreco è servita. A riprova del fatto che oltre ad essere gratificante per lo spirito, la riscoperta dell’antica sacralità del cibo può rivelarsi estremamente divertente, soprattutto se si ama sperimentare in cucina.

 

Pubblicato su Vogue Italia, Aprile 2010

Photo Credit: Miles Aldridge (Archivio “Vogue Italia”, aprile 2003). Courtesy of Vogue Italia.

 

 

 

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