Il cotone è la fibra tessile naturale più diffusa nel mondo. Ma anche la più inquinante delle fibre naturali utilizzate per la fabbricazione di tessuti. Nonostante la sua coltivazione impegni solo il 2,4% della superficie arabile del pianeta, si stima che essa sia responsabile di oltre il 20% dei pesticidi e insetticidi rilasciati nell’ambiente. Sette dei quindici principali pesticidi utilizzati per la coltivazione del cotone tradizionale sono considerati possibili o probabili agenti cancerogeni per l’uomo. Ogni anno oltre 3.000.000 di persone soffrono di problemi di salute cronici associati all’ avvelenamento a lungo termine da pesticidi impiegati per la coltivazione del cotone.
Al momento il cotone organico è coltivato in 17 paesi e rappresenta solo un misero 0,1% della produzione mondiale di cotone. I maggiori paesi/regioni produttori sono la Turchia (41%), gli Stati Uniti (34%), l’Africa (13%), l’India (8%) e infine l’america del Sud (4%, di cui il maggiore rappresentante è il Perù). Optare per il cotone biologico significa non solo compiere una scelta ecologica, ma anche ottenere un prodotto di maggiore qualità. La raccolta del cotone tradizionale, infatti, effettuata in maniera meccanizzata e con l’ausilio di sostanze desfolianti, comporta inevitabilmente l’inclusione di fibre non mature o marce, e di piccoli frammenti di foglie o capsule e quindi un generale indebolimento della fibra, col risultato che i capi di vestiario confezionati con cotone convenzionale sono meno resistenti e duraturi di quelli ottenuti con cotone biologico. Il maggior costo di tali capi è dunque in molto casi solo apparente.
Dentro il capannone centinaia di ingranaggi, pistoni e rulli si muovono all’unisono producendo un rumore assordante; l’aria è intrisa di una polvere dal sapore dolciastro che crea l’illusione che le montagne di soffici batuffoli bianchi accumulati un po’ ovunque non siano cotone, ma zucchero filato. Siamo a Nova Odessa, a due ore da San Paolo, all’interno degli stabilimenti della cooperativa Nova Esperanza, dove ogni giorno tonnellate e tonnellate di cotone grezzo vengono trasformate in nivei rocchi di filo pronto per essere tessuto. Come il cuore di un essere vivente, che per tutta la sua esistenza non cessa mai di battere, così l’immensa “bestia” di metallo che mangia cotone grezzo e produce filo non smette mai di ripetere i suoi ossessivi e ipnotici movimenti, né di notte, né tanto meno durante il fine settimana. Ma vi è un giorno all’anno in cui tutto qua si ferma. Non per una festa nazionale o per una qualche speciale ricorrenza, ma perché le macchine devono essere pulite minuziosamente in ogni loro componente per poter accogliere al loro interno un prodotto speciale che non tollera contaminazioni con il cotone ordinario: si tratta del tanto raro quanto prezioso cotone biologico del Nord Est del Brasile, che una volta all’anno giunge a Nova Odessa per essere filato. Raro e prezioso perché solo otto tonnellate all’anno giungono qui alla cooperativa Nova Esperanza, a fronte delle diciotto tonnellate di cotone ordinario “ingerite” e trasformate in filo ogni giorno dai macchinari. Una sproporzione impressionante che aiuta a capire per quale motivo Slowfood abbia deciso di includere la cooperativa Justa Trama, un’organizzazione Brasiliana che da anni si batte per la diffusione del cotone biologico e a cui la cooperativa Nova Esperanza è affiliata, nella lista delle 54 “comunità della terra” Brasiliane. “Non si tratta di un prodotto commestibile, ma non per questo è meno degno di essere protetto”, spiega Rodney Campos, coordinatore commerciale della cooperativa. “Appoggiando Justa Trama, Slowfood ha dimostrato di aver capito che nelle comunità locali ed economie di piccola scala, i diversi tipi di produzione sono tra loro interconnessi e si sostengono a vicenda”. Justa Trama nasce nel 2004, con l’intenzione di creare una catena produttiva completa dal produttore di sementi fino al prodotto tessile che rispetti la filosofia dell’agricoltura biologica e del lavoro equo e solidale. Se nel 2005 avete partecipato al Social Forum a Porto Alegre avrete ricevuto in omaggio con tutta probabilità una borsa di tela realizzata in cotone convenzionale prodotta dai lavoratori di Justa Trama. “Fu il primo passo per strutturare la catena produttiva solidaria di Justa trama. Quello successivo fu l’inclusione a monte della catena di produttori di cotone biologico (varie famiglie contadine dei municipi di Tauà, Chorò, Quixada e Massapé, nello Stato di Ceará) con lo scopo di creare la prima catena solidaria di cotone biologico del paese. Furono mesi molto intensi, nei quali si susseguirono numerosi incontri e discussioni grazie alle quali i lavoratori realizzarono l’importanza di portare avanti l’agricoltura biologica dei loro avi, basata sul binomio inscindibile tra l’essere umano e l’ambiente in cui vive. A dispetto delle difficoltà che questa coraggiosa scelta comporta”. Difficoltà non da poco, mi aiuta a capire il sig. Campos durante la visita guidata ai rumorosi stabilimenti di Nova Odessa. Il cotone convenzionale è una coltura estremamente inquinante per il terreno e le acque: necessita infatti di circa 30 applicazioni annue di quindici diversi pesticidi. Decidere di rinunciare a queste armi chimiche, comporta inevitabilmente un drastico calo della resa, e la necessità di mettere a punto strategie alternative per difendere la pianta dai suoi numerosi aggressori naturali. L’ eliminazione di parassiti che danneggerebbero le coltivazioni avviene, ad esempio, tramite l’uso di insetti che sono in grado di mangiarli. Per scongiurare gli attacchi della temutissima mosca bianca, invece, le piante di cotone vengono coltivate a fianco di altre specie vegetali, che il parassita trova più gustose. Un’intelligente strategia che comporta, certo, un calo della resa per metro quadro, ma che combatte, oltre ai parassiti, anche l’inevitabile impoverimento del terreno lasciato dietro di sé da ogni monocoltura. Un’altra strategia “pulita” è l’applicazione di alcuni pesticidi e funghicidi naturali, come l’albagaça de cana. Ogni anno, tuttavia, molte piante soccombono agli attacchi della più temuta delle piaghe del cotone, il bicudo, un tipo di acaro particolarmente ghiotto dei suoi fiocchi. “Eppur investire nel cotone biologico non è una follia”, prosegue Campos. “Il mercato per questa rara fibra già esiste, e negli ultimi due-tre anni è cresciuto in maniera esponenziale. Esente com’è da ogni tipo di contaminazione con pesticidi di origine sintetica, il cotone biologico è particolarmente indicato per la produzione di capi tessili ipoallergenici per l’infanzia. La maggiore resistenza delle sue fibre, non indebolite da trattamenti chimici, lo rende inoltre particolarmente indicato per la confezione di capi di alta qualità”. Risvolti economici che sfuggono alla stragrande maggioranza dei contadini del settore, che non si arrischiano a coltivare cotone biologico per timore di vedere poi invenduto un prodotto che sanno essere non competitivo sotto il profilo dei costi rispetto al cotone convenzionale. “Proprio per fugare questa loro paura, Justa trama si impegna ad acquistare l’intera produzione, dal primo all’ultimo fiocco”. A compensare, almeno in parte, la minore resa dei campi, vi è il fatto che niente della produzione del cotone biologico viene gettato. Oltre alla raccolta della fibra per la produzione di prodotti tessili, le restanti parti della pianta trovano infatti impiego per la produzione di olio e materiale da imbottitura, mentre sansa e fogliame costituiscono un ottimo (ed economico) mangime naturale e ad alto tenore proteico per il bestiame. Particolarmente degni di nota sono infine gli aspetti legati al consumo di acqua. Mentre il cotone tradizionale è il terzo prodotto agricolo per consumo di acqua (se ne richiedono infatti oltre tre litri per ogni fiocco di cotone), quello biologico, al contrario, può vantare una straordinaria resistenza alla siccità. La sua capacità di crescere anche su terreni aridi o semi-aridi lo rende dunque un ottimo strumento naturale per fissare le sostanze nutritive in quei terreni difficili, contribuendo a fertilizzarli, idratarli e renderli disponibili per altri tipi di coltivazioni negli anni a seguire. “È buffo”, conclude Rodney, “qui in Brasile il Nord Est viene considerato come uno stato povero e arretrato, eppure i contadini di quella regione hanno chiaro fin da sempre che un sistema agricolo che lascia in eredità ai loro figli una terra inquinata e inutilizzabile è pura follia, dimostrandosi in questo decisamente più progrediti del resto del paese”.
Pubblicato su SLOWFOOD 40
Photo: Michele Fossi