Un abbraccio caldo-umido di colore verde. Occorre ricorrere alla figura retorica della sinestesia per tentare di descrivere la sensazione che si prova giungendo a Tiba, un ecovillagio situato nel’interno dello Stato di Rio de Janeiro, in Brasile, a circa due ore dalla capitale. Ovunque si posi, lo sguardo è come accecato dai riverberi dell’unico colore a cui qui sembra essere dato di essere, il verde screziato in mille tonalità di una vegetazione fitta e lussureggiante che arrampicandosi fin sulle vette delle montagne che circondano la valle, pare onnipotente e eterna. Quella che si respira nell’aria è la forza primordiale della Mata Atlantica, la Foresta pluviale che si snoda nell’entroterra costiero della parte centro-meridionale del Brasile e che accerchia Tiba da ogni lato, lambendone gli edifici e i cigli dei sentieri. Sperimentare sulla propria pelle l’emozione di tale abbraccio vegetale è sicuramente un motivo più che sufficiente per venire da queste parti. Tiba non è solo un paradiso verde dove fare green-therapy e dov’è assaporare, anche se solo per pochi giorni, il piacere di vivere in un luogo magico che certo non differisce molto da quello che un tempo fu il giardino dell’Eden. Tiba è soprattutto un luogo d’incontro che richiama architetti e studenti di architettura da tutto il mondo accomunati dalla volontà di apprendere i segreti di una disciplina molto particolare: l’ “architettura intuitiva”, un originalissimo ibrido di progettazione architettonica e meditazione, messo a punto nel corso degli ultimi venti anni dall’architetto Olandese Johan van Lengen, l’ottuagenario fondatore del centro . «Con la meditazione si può imparare a progettare un edificio sruttando appieno anche l’emisfero destro ed emotivo del nostro cervello, e non solo quello sinistro e razionale», spiega l’architetto. «Progettare non significa solo rigore tecnico, calcolo, ma anche e soprattutto intuizione, visione, fantasia, emozione. Quando ci mettiamo a tavolino, la nostra parte intuitiva solitamente già intuisce quale dovrebbe essere la soluzione ottimale al problema; imparando ad ascoltarla, con la meditazione, si ottiene di disegnare progetti architettonici piu visionari, di maggior pregio estetico e in tempi decisamente minori, divertendosi maggiormente a realizzarli.» Il risultato è sotto gli occhi di chiunque soggiorni a Tiba: un complesso di edifici estremamente funzionale perfettamente inserito nell’ambiente della foresta pluviale. Merito dell’architettura intuitiva ma sicuramente anche della bioarchitettura, l’altra disciplina che può essere studiata a Tiba, e di cui Van Lengen può essere considerato il padre, essendo stato il primo, negli anni ‘70, ad utilizzarne il vocabolo. Dai tetti ricoperti di erba, alle serrature in bambù, dalle scale ottenute riciclando vecchi copertoni d’auto, ai versatili mattoni a tronco di piramide in terra, sterco e acqua come vuole la tradizione indigena, utilizzabili sia per erigere muri che per costruire archi, tutto a Tiba è bioarchitettura, ovvero l’arte di arrangiarsi, costruendo edifici d’alto valore estetico, perfettamente inseriti nel loro contesto, con i pochi semplici mezzi reperibili nell’ambiente circostante. «Il nome “Tiba” è stato scelto non a caso», conclude Van Lengen. «Esso è l’acronimo che sta per “Tecnologia intuitiva e Bioarchitettura”, ma anche un vocabolo Tupi, una lingua indigna Brasiliana, che significa “luogo d’incontro con altre persone”. Sicuramente il luogo dove incontrare se stessi».
Pubblicato su L’Uomo Vogue, Aprile 2009