Il “piano di salvataggio” varato nel 2006 dall’Iccat si propone di regolare la pesca del tonno rosso nell’Atlantico e nel Mediterraneo, imponendo ai 43 paesi signatari delle quote massime di pesca consentita. Quote, tuttavia, decisamente più blande di quanto richiesto dal comitato scientifico interno dell’organizzazione.
Lo scorso anno un imponente tonno rosso del peso di 276 Kg è stato venduto al mercato del pesce di Tsujiki a Tokyo al prezzo record di 55.700 $; ad aggiudicarselo, il proprietario di uno dei più esclusivi ristoranti di sushi della capitale nipponica. Un prezzo più consono ad un’asta d’arte che di pesce, che riflette la straordinaria centralità attribuita al tonno rosso nella cucina Giapponese. Considerato, non a torto, dagli amanti del pesce crudo la varietà di gran lunga più pregiata per confezionare sushi e sashimi, il “re dei tonni” a seconda del taglio preso in esame può apparire sul menù col nome di toro o maguro. Il toro si ricava dalla carne della pancia del pesce; ha un colore rosa chiaro e una testura burrosa, apprezzata per dare l’impressione di sciogliersi in bocca. Ma è soprattutto il secondo taglio, caratterizzato da un colore rosso scuro e da una consistenza più muscolosa, a mandare in brodo di giuggiole i palati degli estimatori del sushi. Nei ristoranti di Tokyo, il prezzo di un piatto di sashimi a base di fettine di maguro si aggira sui 100 $. Un caro prezzo non dovuto solo alle straordinarie proprietà organolettiche delle carni di questo pesce, ma, sfortunatamente, anche al fatto che il tonno rosso è sempre più raro nelle acque del pianeta. La sua popolazione nelle acque del mondo, da quando la moda del sushi ha attecchito nei paesi Occidentali, si sta infatti riducendo ad una velocità impressionante. I dati contenuti in alcune recenti pubblicazioni scientifiche si commentano da soli: la popolazione del tonno rosso nell’Oceano Atlantico si è ridotta al 40% di quello che era alla fine degli ’50,, con un declino pericolosamente sempre più rapido negli ultimi dieci anni, al punto da cominciare a compromettere le capacità riproduttive stesse della specie. Molti i mari da cui il tonno rosso è scomparso senza mai più far ritorno: la baia di Biscay, il mare del Nord, il mare di Norvegia, il mar Nero; difficilissimo ormai pescarlo nel Mar Ionio. Per arginare questa silenziosa moria all’apparenza inarrestabile, dal Gennaio del 2007 è in vigore un “piano di salvataggio” messo a punto l’ICCAT, un’organizzazione intergovernativa con sede in Spagna incaricata di proteggere il tonno rosso nell’Oceano Atlantico e mari limitrofi. Le virgolette, come vedremo, sono d’obbligo.
Il “piano di salvataggio” varato nel 2006 dall’ICCAT si propone di regolare la pesca del tonno rosso nell’Oceano Atlantico e nel Mediterraneo imponendo ai paesi signatari delle quote massime di pesca consentita (le TAC, acronimo dell’inglese Total allowable catch). Quote tuttavia decisamente più blande di quanto richiesto dal comitato scientifico interno dell’organizzazione: alla richiesta degli scienziati di limitare per alcuni anni la pesca in maniera drastica, imponendo per legge un TAC pari a 8.500-15.000 tonnellate annue, la dirigenza politica dell’ICCAT ha risposto picche fissando tali limiti a valori decisamente più alti, pari a 29.500, 28.500, 27.500 e 25.500 per gli anni 2007-2010 rispettivamente. Ma, soprattutto, senza proporre alcuna soluzione concreta per contrastare il triste fenomeno della pesca illegale, che, in base ai dati messi a disposizione dall’ICCAT stesso, nel 2007 e nel 2008 ha fatto schizzare il prelievo effettivo di tonno rosso dai mari a valori pari a circa il doppio di quelli legali (~60.000 tonnellate) ovvero 4-7 volte superiori alle quote consigliate dagli scienziati. Superate le quali, essi avvertono, sussistono concreti rischi che la popolazione di tonno rosso scenda al di sotto del 90% del valore originario, o, come si dice in gergo, “collassi”. Viene spontaneo domandarsi come possa accadere che l’organizzazione preposta alla salvaguardia di una specie minacciata di estinzione agisca in così palese disaccordo con il proprio comitato scientifico, prendendo di fatto decisioni che contraddicono spudoratamente tale intento, favorendo tale estinzione invece che combatterla. Forse che le quote consigliate dagli scienziati dell’ICCAT sono il risultato di una visione particolarmente pessimistica del problema e che i dolorosi tagli alla pesca che essi auspicano non sono poi così necessari come le curve dei loro grafici vorrebbero far credere? O siamo forse davanti ad uno dei più spudorati casi di sabotaggio di un’organizzazione intergovernativa da parte delle lobby del settore? A queste domande risponde il Dr. Brian MacKenzie, ricercatore presso il National Institute of Aquatic Resources dell’Università Tecnica di Danimarca, che gentilmente ha accettato di rivelare a SLOWFOOD gli scottanti risultati contenuti suo ultimo lavoro “Impending collapse of bluefin tuna in the northeast Atlantic and Mediterranean”, prima della sua pubblicazione. Una ricerca scientifica che riveste per la questione appena sollevata una grande importanza, perché mira a valutare l’efficacia del Recovery Plan attraverso simulazioni che consentono di stimare se a queste condizioni ci sarà la tanto augurata ripresa della popolazione oppure se il declino continuerà inarrestabile. «I nostri risultati dimostrano che se le quote pescate oggi e negli ultimi anni fossero davvero state quelle ufficiali (attorno alle 30 000 ton annue), il rescue plan avrebbe dato effettivamente i suoi frutti in tempo breve”, spiega McKenzie.” Ma quando inseriamo nel calcolo i dati reali, ovvero prelievi pari al doppio di quanto dichiarato, la situazione si fa decisamente meno rosea». La discrepanza tra scenario “ufficiale” e scenario “effettivo” può essere apprezzata nei grafici di Fig1, dove l’andamento della popolazione adulta di tonno rosso è rappresentato in funzione del tempo. In entrambi i grafici i triangolini rossi indicano le quote massime fissate dall’ICCAT per gli anni 2007-2010. “In entrambi i casi la popolazione cala vertiginosamente nei primi anni del piano di salvataggio. Se guardiamo da vicino il grafico B”, prosegue il ricercatore, “ci accorgiamo che a partire da questo o dal prossimo anno, la curva toccherà i triangolini rossi; in altre parole, i pescherecci avranno mandato legale a prelevare tutto il tonno rosso presente nell’oceano!” . Conclusione tanto assurda quanto allarmante, che lascia poco spazio al dubbio che le quote fissate dall’ICCAT non abbiano senso alcuno, se non quello di assicurare un rapido collasso dello stock. «Vorrei tuttavia che i mie dati venissero letti in chiave positiva: se la mortalità verrà ridotta fin da subito drasticamente, del 50-85% rispetto ai valori attuali, nel giro di pochi anni si avrà con tutta probabilità un aumento della popolazione». Chi tende invece a vedere il bicchiere mezzo vuoto noterà nel grafico B una curva tratteggiata che striscia minacciosamente verso il basso, che sta a indicare una probabilità non nulla, inferiore al 5%, che la popolazione di tonno rosso collasserà a breve. «Rimangono in effetti ancora irrisolti gli interrogativi, legati all’aver trascurato dal calcolo certi parametri difficilmente quantificabili», ammette l’autore. «Tanto per comnciare questi risulati sono stati ottenuti nell’ipotesi che l’ambiente marino rimanga costante negli anni a venire. Sussistono invece fondati motivi per credere che il mare, per una serie di motivi, non per ultimo l’aumento di temperatura delle acque, potrebbe diventare un ambiente meno favorevole alla sopravvivenza della prole. C’è inoltre il rischio che se la popolazione dovesse scendere sotto un numero critico, non facilmente quantificabile, essa rimanga intrappolata in un minimo della curva, e non sia più ingrado di uscirne fuori.» Il nefasto effetto Allee, ben noto agli addetti ai lavori e così chiamato dal nome del suo scopritore, ben esemplificato da quanto avvenuto alla popolazione di merluzzo Canadese, un pesce di enorme importanza commerciale per secoli, la cui popolazione negli anni ‘80-’90 è scesa a livelli bassissimi, oltre il punto di “non-ritorno”: nonostante da oltre quindici anni la pesca al merluzzo canadese sia vietata, la popolazione non accenna ad aumentare. Un triste precedente che dovrebbe fungere da monito per i dirigenti dell’ICCAT .
Dovrebbe, perché la nave continua ad avanzare tra i flutti col timoniere ubriaco. L’ultima riunione dell’ICCAT a Marrakesh lo scorso Novembre, che aveva in agenda una revisione al ribasso delle quote, ha nuovamente mancato l’occasione di sferzare una vigoroso colpo al timone, abbracciando finalmente la politica lungimirante auspicata dai propri scienziati. Il ritocco al ribasso è sì avvenuto, ma solo in misura modesta, portando la TAC per i prossimi anni a 22.000 tonnellate.
Le cose non cambiano di molto: pescare tutto il tonno rosso dell’oceano diventerà dunque finalmente un atto illegale, ma pescarne così tanto da lasciarne in vita solo poche migliaia di tonnellate in tutto non pare poi un atto così scellerato all’ ICCAT, che per di più ha deliberato che la stagione di pesca del tonno rosso si protrarrà come di consueto fino al 20 di Giugno, nonostante gli scienziati avessero sottolineato l’importanza strategica di una sua chiusura totale nel periodo riproduttivo, che si svolge nei mesi di maggio e giugno. Decisioni che hanno fatto gridare nuovamente allo scandalo le associazioni ambientaliste. «La maniera con cui ICCAT gestisce la pesca del tonno rosso è una disgrazia internazionale. Ancora una volta governi e industria hanno anteposto il guadagno nell’immediato alla sopravvivenza della specie, e a quella dei pescatori che da essa dipendono », ha dichiarato François Prévost di Green peace. «Si tratta del più scandaloso caso di malgoverno della pesca di una specie e sicuramente uno dei più gravi di cui sia stato mai testimone”, rincara la dose il Dr. Tudela del WWF. «La pesca del tonno rosso è manifestamente fuori controllo, …, de facto non regolata ». Persino Mitsubischi, il più grande distributore di tonno rosso del mondo, ha recentemente preso le distanze dall’ICCAT , ammettendo che l’organizzazione non è in grado di regolare la pesca del tonno rosso, e annunciando (speriamo sia vero) di voler seguire una politica di distribuzione rigorosamente sostenibile, incentrata su una tracciabilità adamantina del pesce venduto, mirata a togliere mercato (e dunque ossigeno) alla pesca illegale. Forse la speranza per il tonno rosso risiede proprio negli altri anelli della catena, distribuzione e consumatori, che Mac Kenzie investe di una grande responsabilità per gli anni a venire. «Nell’attesa che le quote vengano davvero ridotte », conclude il ricercatore «la palla passa al consumatore e ai piccoli distributori: chiediamo al nostro ristorante giapponese, al nostro supermercato di fiducia di non vendere tonno rosso. Bandiamo questa prelibatezza dalla nostra tavola oggi per poter continuare a gustarla domani».
Pubblicato su SLOWFOOD 39