Travel: Svalbard

Tra gli aspetti più affascinanti di un viaggio all’arcipelago delle Svalbard,  la terra abitata più a Nord del mondo, vi sono sicuramente le tante  storie avventurose che si annidano tra le crepe dei ghiacciai perenni, che ci parlano di uomini sprezzanti del pericolo, determinati a raggiungere un “oltre” vagheggiato dalla mente, al cui richiamo, come le sirene di Ulisse, non ci si può sottrarre. Come l’ossessione del navigatore olandese Willem Barentsz per “il passaggio a Nord Est, una via navigabile fino alla Cina —  inesistente, ovviamente — che lo porterà, nel corso di varie missioni, prima a sbagliar rotta ed a “scoprire” questo arcipelago remoto”, e, successivamente, a incastrarsi fatalmente tra i ghiacci dei mari russi. Quando, con sforzi enormi, raggiunsero la terra ferma, lui ed i suoi uomini costruirono una baita con tronchi di alberi, e lì sopravvissero di espedienti un inverno intero. All’interno di una copia esatta di quella baita, il  “Camp Barentsz”, scaldati dal fuoco del camino, una guida ci introduce a questo gelido avamposto, snocciolandone i numeri: duemila abitanti, quasi tutti concentrati nel capoluogo Longyearbyen, in minoranza rispetto ai veri padroni delle Svalbard, i tremila orsi polari che si aggirano liberi per i suoi ghiacciai perenni, e che obbligano gli abitanti ad avere sempre con sé un fucile ogni qualvolta si avventurano fuori dal perimetro cittadino; quarantasei sono invece i paesi signatari dell’accordo internazionale che definisce l’arcipelago un “condominio”, amministrato dalla Norvegia ma sfruttabile sotto il profilo minerario da tutti i paesi contraenti. A esercitare questo diritto, in passato, è stata soprattutto l’Unione Sovietica, che tra queste isole ha costruito alcuni insediamenti minerari di raro fascino: Barensburg, ancora in funzione ed abitato da seicento cittadini russi, e la misteriosa Pyramiden, abbandonata nel 1998, e da allora suggestiva città fantasma. I battelli rompighiaccio di Spitzbergen Adventure Cruise collegano Longyearbyen con entrambe. Per ore (circa quattro all’andata e quattro al ritorno) ci si ritrova sperduti tra paesaggi boreali dal nitore accecante, tra fiordi e insenature, scogliere a picco straboccanti di neve e le infinite forme della banchisa frantumata in migliaia di frammenti di ghiaccio alla deriva. Visione onirica, ad un certo punto al centro di quella nordica desolazione appare un enorme tricheco addormentato su un iceberg, che poi, svegliato dal rumore dei motori, saluta con uno sbadiglio annoiato il passaggio del battello.  Non meno surreale, dopo tanto deserto di ghiaccio, l’arrivo a Pyramiden, che, perfettamente riflessa nel mare calmo della baia, ci appare sdoppiata.  Come in una time capsule, ci troveremo a passeggiare tra Plattenbauten sovietiche abbandonate, sotto lo sguardo di una statua di Lenin ricoperta di neve, che, dal centro della vecchia piazza dove si svolgevano le adunate del monopartito, pare anch’essa contemplare la bellezza selvaggia delle bianche montagne che fanno da cornice alla baia. La sera, quando si torna a Longyearbyen, ci si trova, a sorpresa in questo luogo così remoto ed isolato, con l’imbarazzo della scelta per vivere interessanti esperienze gastronomiche ad alto livello. Si può iniziare al ristorante del nostalgico Spitzbergen Hotel, dove i due chef Súsanna Puttanen e Jan Robert Ekeblad, un vero e proprio duo creativo, si dilettano a riproporre gli ingredienti più tipici della cucina scandinava, come lo Skrey, il filetto di merluzzo pescato nelle acque del mare di Barens, cucinati con le tecniche più moderne e concludere in bellezza al superlativo Husen, dove ci attende un’indimenticabile esperienza di fine dining in undici portate impreziosita, qua è là, da ingredienti tipici delle Svalbard introvabili altrove: come la rinomata carne di renna, dal sapore più delicato rispetto a quella cacciata sul continente, essiccata per quattro mesi dallo chef nelle soffitte del ristorante, o il capocollo di foca marinato in aceto. Impegnati a vivere avventure indimenticabili, dalla traversata in motoslitta di quello che, così bianco e deserto, pare essere un gelido satellite di Giove, al percorso tra strette valli innevate sulla slitta trainata dai cani, i giorni corrono veloci alle Svalbard. Da non mancare, prima di partire, l’esperienza indimenticabile di dormire in una cabina isolata nella natura artica: il lodge di Hurtigruten Svalbard, attrezzato di sauna, che si raggiunge dopo circa un’ora di motoslitta. La notte — visione lisergica —- il cielo con un pizzico di fortuna si accende di mille sfumature di verde fosforescente: ci troviamo infatti nel miglior luogo del pianeta per godere del fenomeno dell’aurora boreale, che qua, in virtù delle latitudini estreme, interessa l’intera volta celeste, e non, come nel caso di tante altre destinazioni scandinave, solo  la porzione di cielo immediatamente sopra l’orizzonte. Durante l’estate, infine, proibito perdersi una delle escursioni più indimenticabili che si possa fare alle Svalbard: una nostalgica crociera sul MS Nordstjernen fino al Northwest Spitsbergen National Park, oltre l’80 parallelo. Non solo, senz’ombra di dubbio, una delle rotte nautiche più belle al mondo, tra fiordi, baie e ghiacciai millenari che si gettano nel mare, ma anche l’unico modo per raggiungere una latitudine così estrema in mare aperto. Consigliata per coloro che soffrono di quella che potremmo battezzare “la sindrome di Barentsz”: una sete di Nord inestinguibile, che spinge verso latitudini sempre più gelide, misteriose ed incontaminate. // Per organizzare un viaggio alle Svalbard: http://www.spitsbergentravel.com; www.visitnorway.com.

Dove mangiare a Oslo: “Klosteret” (fine dining sperimentale), il nostalgico “Theaterkaffeen” ed il panoramico “Ekebergrestauranten”, da cui si gode la migliore vista sulla città.

Michele Fossi

Photo: Clara Vannucci

 

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