Acque Heavy Metal

 Piombo, mercurio, cadmio e compagnia inquinante. Nei secoli dei secoli…

 

Una forma di inquinamento molto antica

Gli effetti dell’avvelenamento acuto da metalli pesanti sono noti fin dall’antichità. I medici Romani erano al corrente del fatto che il contatto ravvicinato e continuativo con il Piombo ed il Mercurio conduceva nel giro di pochi anni alla morte e per questo il lavoro nelle miniere dove venivano estratti questi metalli veniva riservato agli schiavi e ai criminali. Nonostante questo accorgimento scongiurasse il pericolo di un avvelenamento da metalli in forma acuta, i cittadini Romani non seppero però proteggere se stessi dagli effetti di un avvelenamento da Piombo lento e in piccole dosi. Essi entravano quotidianamente a contatto con il tossico metallo che impiegavano per la costruzione delle condutture degli acquedotti, per la fabbricazione di tazze e stoviglie, nella produzione di trucchi, nella preparazione di vernici, e, sotto forma di acetato, addirittura come dolcificante del vino quando le scorte di miele si esaurivano. Analizzando degli scheletri di epoca Romana alcuni ricercatori hanno rilevato recentemente una presenza di Piombo in quantità dieci volte superiore alla norma. L’avvelenamento cronico da piombo in età imperiale avrebbe portato alla sterilità e alla demenza soprattutto delle classi dirigenti e viene addirittura annoverato da alcuni storici come possibile concausa del declino dell’impero romano1.

Non tutti i metalli sono pesanti e non tutti i metalli pesanti sono tossici. Vengono impropriamente definiti metalli pesanti tutti quei metalli la cui densità è superiore ai 5 g/cm3. Alcuni di essi, come zinco, manganese, rame, cobalto e selenio, svolgono importanti funzioni biologiche e sono per questo indispensabili alla vita. Oltre una certa concentrazione diventano però tossici. Altri metalli pesanti invece, come Piombo, Mercurio e Cadmio, non svolgono alcuna funzione biologica nota e risultano tossici anche in minime quantità. Sono costituenti naturali della crosta terrestre; in quanto elementi chimici non possono essere né degradati né distrutti e la quantità totale presente sul pianeta è costante. A seguito di attività antropiche di vario tipo (l’industria metallurgica, degli smalti e delle vernici, l’industria cartiera, gli inceneritori e gli impianti di combustione di carbone) ingenti quantità di questi metalli sono state liberate dai sedimenti rocciosi e rilasciate direttamente nell’aria e nelle acque, contaminandole. La pericolosità di questi metalli pesanti, una volta resi disponibili in forma libera nell’ambiente, risiede nel fatto che tendono a “bioaccumularsi”, cioè a concentrarsi sempre di più all’interno di un organismo vivente durante l’arco della sua esistenza. Se la quantità accumulata supera una certa soglia, gli effetti per la salute possono essere molto gravi.

Oggi è noto che una contaminazione da Piombo (“Saturnismo”) porta ad anemia, gotta, sterilità, disfunzioni renali, del fegato, del sistema immunitario e del sistema nervoso centrale, con gravi conseguenze per lo sviluppo intellettivo dei bambini. Alti livelli di piombo nel sangue sono riscontrati spesso in soggetti con basso IQ. Cadmio e Mercurio non rappresentano del resto una minaccia più blanda per la salute. Il 10% del Mercurio ingerito si deposita nel cervello, dando luogo a perdita di lucidità intellettuale, del senso dell’equilibrio e problemi a vista e udito. Ancora oggi nei paesi anglosassoni esiste l’espressone idiomatica “matto come un cappellaio” (“Mad as a hatter”) che deriva dal fatto che il mercurio un tempo trovava ampio impiego per la fabbricazione dei cappelli e finiva per avvelenare chi lavorava nel settore. Se assunto durante la gravidanza, il mercurio svolge un’azione neurotossica che pregiudica gravemente lo sviluppo neurologico del feto. Il Cadmio risulta invece particolarmente tossico per reni e fegato, ed è sospettato di essere cancerogeno.

Metalli pesanti e pesce: un pericoloso binomio

Pochi anni fa alcuni ricercatori di Chicago hanno dimostrato, analizzando alcuni capelli di Beethoven, che il celebre compositore morì di avvelenamento cronico da piombo, che egli ingeriva mangiando grandi quantità di pesce – ne era infatti molto ghiotto – pescato in un tratto particolarmente inquinato del Danubio all’inizio del 19° secolo.

A quell’epoca nessuno poteva sospettare che il pesce fosse la fonte più importante di introduzione di molti metalli pesanti, soprattutto del mercurio, nell’organismo umano. Come è possibile? Una volta disciolti nelle acque, i metalli pesanti si introducono al gradino più basso della catena alimentare, inquinando il plancton e le alghe di cui si nutrono molti pesci. La penetrazione del mercurio, in particolare, all’interno di organismi viventi è facilitata dalla sua trasformazione – ad opera di batteri oceanici – in metilmercurio, un derivato organico e liposolubile del metallo particolarmente tossico perché in grado di penetrare le membrane biologiche.

I pesci ed altre specie marine, così come l’uomo, possiedono un meccanismo di difesa contro i metalli pesanti: le metallotionine, speciali proteine “spazzine” preposte alla cattura dei tossici intrusi e alla loro segregazione nei tessuti e nei cuscinetti di grasso, dove meno possono interferire con le funzioni biologiche primarie. Qui i metalli rimangono per tempi molto lunghi, e solo una piccola percentuale viene lentamente escreta. In virtù di questo fenomeno, detto “bioaccumulo”, la concentrazione dei metalli aumenta progressivamente al’interno dell’organismo vivente durante l’arco della sua esistenza. Oltre a questo, esiste l’aggravante della “biomagnificazione”, ovvero il fenomeno per cui i metalli pesanti si concentrano sempre di più passando da un livello trofico all’altro. Quando il pesce grande mangia il pesce piccolo tutti i metalli pesanti che la vittima ha pazientemente bioaccumulato durante la sua esistenza si trasferiscono, in un sol boccone, nel pesce predatore. E’ proprio a causa della biomagnificazione che i pesci più inquinati da metalli pesanti sono, non a caso, quelli che occupano i gradi più alti della piramide alimentare, e cioè i pesci predatori di grossa taglia come pesce spada, tonno, squalo, luccio e anguilla, nei quali i metalli pesanti possono raggiungere concentrazioni dalle 3000 alle 27000 volte più alte di quella dell’acqua in cui vengono pescati. Per dare un’idea dell’entità del fenomeno si pensi che, secondo una recente stima2, addirittura il 5% di tutto il mercurio presente nel mediterraneo sarebbe bioaccumulato all’interno di organismi marini. Quando il pesce finisce sulla tavola dell’uomo, che occupa un gradino ancora più alto nella piramide alimentare, i metalli pesanti subiscono un’ulteriore, pericolosa concentrazione.

 

Avvelenamento acuto

 

Il più grave caso di avvelenamento su larga scala da mercurio che la storia ricordi è avvenuto nella baia di Minamata, nella parte Sud-Ovest dell’isola di Kyushu, in Giappone. Fra il ’56 e il ‘71, l’industria chimica Chisso riversò nelle acque di Minamata, un piccolo paese di pescatori, ingenti quantitativi di scarichi industriali contenenti mercurio. Dalle acque, il mercurio contaminò prima la fauna ittica locale e poi, in virtù della biomagnificazione, risalì la catena alimentare fino all’uomo. Inspegabili fenomeni cominciarono a presentarsi agli occhi degli sbigottiti abitanti di Minamata: uccelli-kamikaze che perdevano improvvisamente quota schiantandosi al suolo, gatti impazziti, polipi che si lasciavano catturare con le mani, frotte di topi che correvano all’impazzata per il paese. Poco tempo dopo, i primi sintomi dei perversi effetti del mercurio fecero la loro comparsa anche tra gli esseri umani: degenerazioni del sistema nervoso, follia, morte. La triste vicenda si concluse con svariate decine di vittime e migliaia di intossicati; solo nel ‘62 apparve chiaro che il misterioso killer non era un virus od un batterio, ma il mercurio riversato in mare dalla Chisso. Ancora oggi si parla di “sindrome di Minamata” per riferirsi all’intossicazione acuta da Mercurio. Negli ultimi decenni si sono verificati altri casi di avvelenamento collettivo da mercurio dovuto al consumo di alimenti contaminati: in alcune zone rurali dell’Irak, durante l’inverno ’71-’72 del grano trattato con un pesticida al mercurio avvelenò 50 000 persone; sempre in Giappone, nel ’65, la Sindrome di Minamata si manifestò nuovamente nella provincia di Niigata: ancora una volta la causa era il pesce contaminato da metilmercurio pescato nel fiume Agano. I primi casi documentati di avvelenamento acuto da mercurio risalgono al periodo della “febbre dell’oro”, nell’America del diciannovesimo secolo, ma si registrano ancora oggi in molti paesi del terzo mondo produttori di oro, come Venezuela, Vietnam e Laos.

Avvelenamento a piccole dosi

Non meno inquietanti sono i risultati di diversi studi a lunga durata tesi a monitorare gli effetti di un’assunzione cronica e a piccole dosi del metallo. Studiando gli effetti sullo sviluppo neurologico dei feti presso alcune popolazioni particolarmente esposte, come gli abitanti delle isole Faroe (Danimarca), di alcuni villaggi della Nuova Zelanda e delle Seichelles, si è scoperto che anche dosi asintomatiche per la madre (una concentrazione di 6 ppm nel capello) possono portare a seri ritardi e handicap mentali del bambino. Alle donne in stato interessante o in fase di allattamento viene quindi consigliato di bandire totalmente dalla dieta le specie di pesce più ricche di metilmercurio, come tonno e pesce spada. A seguito recenti studi sulla carne di tonno, l’americana Food and Drug Administration (FDA) ha messo all’indice pochi mesi fa anche il tonno in scatola, fino ad ora considerato più sicuro del tonno bianco, che già dal marzo del 2004 era stato inserito tra gli elementi da bandire dalla dieta delle future mamme. Secondo questo studio, il 6% del tonno in scatola testato contiene un quantitativo di mercurio pari a quello del tonno bianco. La FDA consiglia alle future mamme di non eccedere un consumo di tonno in scatola superiore ai 300 grammi settimanali. L’allarme lanciato dalla FDA è più che giustificato: si stima che negli Stati Uniti l’ 8% delle madri abbia assunto durante la gravidanza una quantità del metallo superiore ai limiti e che 300 000 bambini siano stati esposti, all’interno dell’utero materno, a livelli di metilmercurio considerati neurotossici.

Alcuni settori della popolazione mondiale sono da considerarsi, per abitudini alimentari e per locazione geografica, più a rischio di avvelenamento cronico da mercurio. Molte popolazioni dipendono per la loro sussistenza giornaliera dal pesce pescato localmente e ne consumano quantità nettamente superiori alla media (oltre i 2 Kg settimanali). Chi abita invece nei pressi di zone costiere altamente inquinate ed acquista esclusivamente pesce locale, risulta essere a rischio anche con un consumo moderato di prodotti ittici.

In Italia il triste primato dell’inquinamento da metalli pesanti spetta alle acque prospicienti il polo petrolchimico di Augusta-Priolo-Melilli, in provincia di Siracusa, dove la concentrazione del mercurio nel pesce pescato in zona è superiore del 500% ai limiti imposti dalle legge. Nelle acque che bagnano questa striscia avvelenata di terra, nota anche come “Triangolo della Morte”, per molti anni sono stati riversati illegalmente tonnellate di scarichi industriali particolarmente ricchi in mercurio, nickel, e piombo. Risultato: un’incidenza di tumori del 20% superiore alla media Siciliana, moltissime gravidanze interrotte, oltre un migliaio di bambini nati con gravi handicap fisici e mentali tra il 1991 e il 2001 3.

Siamo tutti contaminati?

Cosa possiamo dire del pesce che arriva quotidianamente sulla tavola degli Italiani e degli Europei? Nell’Ottobre 2001 la Comunità Europea ha deciso di dare inizio ad un progetto di valutazione della esposizione della popolazione europea ai metalli pesanti (arsenico, cadmio, mercurio e piombo) presenti nella dieta denominato “SCOOP Task 3.2.11”4 coordinato congiuntamente da un comitato Italiano, diretto dal Dr. P. Stacchini e dal Dr. M. Baldini dell’ Istituto Superiore di Sanità, e da un comitato Svedese. I risultati di questa indagine confrontano il valore di Mercurio, Cadmio e Piombo presente mediamente nella dieta degli Europei con il quantitativo massimo tollerabile settimanalmente, il cosiddetto PTWI (Provisional Tolerable Weekly Intake). Quest’ultimo, che varia da metallo a metallo, è un limite deciso dalla JECFA, un’apposita commisione di esperti istituita nel 1956 dalla FAO e dall’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) che si riunisce periodicamente per valutare la pericolosità di numerosi contaminanti del cibo e per stabilirne la quantità massima ammissibile.

Durante l’ultima riunione della commissione nel 2005 i valori di PTWI sono rimasti invariati per il Cadmio (7 microgrammi per chilogrammo di peso corporeo) ma sono stati drasticamente ridotti per il Mercurio, il cui PTWI passa da 3.3 g/kg a 1.6 g/kg, Questo ritocco al ribasso è stato voluto per proteggere quei segmenti della popolazione più a rischio, cioè donne incinte e feti, che, alla luce di nuovi studi tossicologici, non risultavano adeguatamente cautelati dal precedente limite. Perché l’assunzione settimanale di metalli pesanti del cittadino Europeo non superi il PTWI, il pesce Europeo, come tutti gli altri prodotti alimentari, è soggetto a severi controlli eseguiti dagli istituti zooprofilatici. Nel caso del mercurio, la legge comunitaria impone che la concentrazione del metallo nel pesce non superi i 0.5 mg/kg, fatta eccezione per i pesci predatori, per il quale il limite è innalzato a 1 mg/kg.

Per quanto riguarda il Piombo, l’indagine ha rilevato che raramente è presente in quantità apprezzabili nel pesce, e che la quantità ingerita mediamente da un adulto europeo è pari al 17% del PTWI. Il Cadmio è risultato essere presente principalmente nei crostacei, molluschi e nei cefalopodi (seppie, polipi e calamari, che di molluschi e calamari sono ghiotti). Il quantitativo medio ingerito è comunque anche in questo caso inferiore al 30% del PTWI. Per quanto riguarda il mercurio, il 91% è veicolato nel nostro corpo da pesce e crostacei. La quantità media assunta rimane anche per questo metallo ben al di sotto del livello di guardia (6.47% del PTWI).

La riduzione delle emissioni di metalli pesanti: una sfida a livello globale

Sicuramente a questo positivo risultato hanno contribuito gli ingenti sforzi, a livello comunitario, per ridurre le immissioni totali nell’ambiente dei tre metalli pesanti che, nei soli ultimi 5 anni, sono dimuite in Europa del 40-80%5. Particolarmente ben riuscite alcune collaborazioni tra più stati Europei, come il RAP (Rhine Action Program) e l’ICPDR (International Commission for the protection of the Danube River), istituite allo scopo di ridurre le concentrazioni di metalli pesanti e altri inquinanti nelle acque di Reno e Danubio. Nelle acque del Reno, vera e propria discarica chimica a cielo aperto fino a pochi anni fa, è addirittura tornato a nuotare il salmone, assente da decenni. Nel caso del Danubio, il segreto di questo successo è stata l’istituzione di appositi “registri delle emissioni”, decisa durante l’approvazione del protocollo di Kiev, nel 2003, sottoscritto da quasi tutti i paesi attraversati dal fiume. Il protocollo obbliga legalmente le industrie a riportare i valori di metalli pesanti ed altri inquinanti presenti nei loro scarichi all’interno del registro, i cui dati sono volutamente accessibili al pubblico. Questo esercita una forte pressione psicologica sulle industrie, che hanno tutto l’interesse a ridurre le loro emissioni per non apparire come grandi inquinatori agli occhi del consumatore.

Più complessa la bonifica dell’acqua dei laghi, dove la mancanza di ricambio di acqua consente ai metalli pesanti di accumularsi stabilmente in grandi concentrazioni. In Svezia, ad esempio, il pesce pescato in circa la metà dei 100 000 laghi contiene mercurio in quantità superiori ai limiti stabiliti dalla OMS. Nel 10% dei laghi svedesi i valori superano adirittura del doppio i limiti.

Il calo delle emissioni Europee (dovuto principalmente alla caduta dei regimi comunisti nei Paesi dell’Est e allo smantellamento di numerosissime industrie metallurgiche e impianti a carbone) non deve comunque trarre in inganno: indipendentemente dalla regione del mondo nella quale vengono rilasciati, i metalli pesanti si ridistribuiscono più o meno rapidamente in ogni angolo del pianeta, persino ai Poli, dove il mercurio è stato rilevato in quantità apprezzabili. L’inquinamento da metalli pesanti, soprattutto di Mercurio, è un tipico esempio di problema globale che, come il problema dell’Effetto Serra, richiede un’ampia collaborazione a livello internazionale per essere risolto. Le emissioni nel resto del mondo sono aumentate negli ultimi anni e i dati rimangono allarmanti: ogni anno vengono rilasciate 4500 tonnellate di mercurio, di cui 2250 derivanti da attività antropiche. Il trend è in crescita, soprattutto nei paesi in rapido sviluppo dell’Est Asiatico che con 1000 tonnellate annue contribuiscono per il 40% alle emissioni globali6.

Buon appetito

Dobbiamo quindi bandire completamente il pesce dalle nostre tavole? No, i risultati dello studio di cooperazione Europea “SCOOP Task 3.2.11” sono nel complesso tranquillizzanti e dimostrano che non sono stati evidenziati rischi legati ad un consumo normale di pesce. Rinunciare del tutto al pesce e al suo importante valore nutritivo nel nome di una crociata contro i metalli pesanti rappresenterebbe non solo una dolorosa privazione per il palato, ma equivarrebbe ad una scelta nutrizionalmente sbagliata e controproducente. Gli amanti degli spaghetti allo scoglio, delle orate alla griglia e dei carpacci di pesce spada possono dunque dormire sonni tranquilli. Per i più scrupolosi e per le donne in gravidanza, un paio di regole per non incorrere nei rischi di un’assunzione eccessiva di metalli pesanti: occorre prediligere le carni di pesci di piccola taglia a quella dei grandi pesci predatori e variare il tipo e la provenienza del pesce acquistato, evitando di nutrirsi esclusivamente di pesce locale.

Pubblicato su Slowfood 21, Settembre 2006

1 Lead and Lead Poisoning in Antiquity (1983) by Jerome O. Nriagu;

“Saturnine Gout Among Roman Aristocrats: Did Lead Poisoning Contribute to the Fall of the Empire?” (1983) by Jerome O. Nriagu, New England Journal of Medicine, 308, 660-663;

2 Cossa 1995

3 Nicola Pirrone e Lucia Linsalata (2004) Priolo come Minamata, Mercurio Mortale. Villaggio Globale, no. 27, pag. 66-69 & no 28. pag 33.

4 The EFSA Journal (2004) 34, 1-14

5 “Europe’s water: An indicator-based assessment” S. Nixon, Z. Trent, C. Marcuello, C. Lallana Contributions from: A. Zenetos, J. Grath, A. Scheidleder, J. Feher, A. Lazar, M. Joanny, G. Ærtebjerg, B. Fribourg-Blanc, J. Bøgestrand, N. Green, K. Nygaard, R. Bradford

6 Dynamics of Mercury Pollution on Regional and Global Scales

Atmospheric Processes and Human Exposures Around the World

Nicola Pirrone; Mahaffey, Kathryn R. (Eds.) 2005

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