A regalare a Paco León, 42 anni, una straordinaria popolarità in Spagna sono state le sue imitazioni delle star della Tv spagnola nel programma “Homo zapping”, non di rado travestito da donna. Ma è con il ruolo di Luisma della sitcom “Aída” che conquista definitivamente il cuore dei telespettatori, ottenendo due Fotogramas de Plata come migliore attore. Non pago, si lancia anche nella regia: nel 2012 e nel 2014 dirige la madre e la sorella nelle sue opere di debutto “Carmina o revienta” e “Carmina y amén”; nel 2016 esce il suo terzo lungometraggio, “Kiki & i segreti del sesso”, remake dell’australiano “The little death”, l’opera che, oltre a sbancare al botteghino, ne segnala l’irriverente e provocatorio talento all’estero, facendogli guadagnare il titolo di “nuovo Almodóvar”. «Prendendo in rassegna le parafilie sessuali più disparate – dalla dacrifilia, l’eccitazione per le lacrime del partner, all’arpaxofilia, il provare piacere sessuale quando si viene derubati – con quel film ho voluto ribadire una mia convinzione: a guardare bene dietro al muro delle apparenze, ci sono tante sessualità quante sono le persone. E non possiamo ambire alla felicità se non siamo prima disposti a capire e accettare le peculiarità della nostra», racconta. Nella visione pacoleoniana del mondo, la sessualità ha una centralità assoluta: «Quasi tutto ciò che intraprendiamo nella vita, a pensarci bene, lo facciamo per un fine ben preciso: fare sesso. O aumentare le possibilità di farlo. Parlo anche di coloro che imboccano carriere molto rispettabili, dai diplomatici ai premi Nobel. E se proprio dobbiamo scegliere un fine ultimo per le nostre azioni, be’, il sesso mi pare ottimo, di certo il migliore per celebrare la vita».
Nel tentativo di restituire l’intimità dei personaggi nella sua forma più autentica, la sua tecnica registica affonda le radici nel neorealismo italiano e in particolare nel cinema pasoliniano. «Ricerco un’estetica cinematografica il più possibile “naturale”. Per questo amo lavorare con attori alle prime armi e senza un vero e proprio copione». La stessa tecnica che utilizzerà, rivela, per le riprese di quello che si annuncia essere il suo progetto più ambizioso: una serie Tv dedicata agli anni madrileni di Ava Gardner. «La diva si trasferì a Madrid nei primi Anni 60, e iniziò presto a far parlare di sé per le feste che era solita organizzare nel suo appartamento, entrando spesso in conflitto con un esasperato Juan Perón, il dittatore argentino in esilio che, caso vuole, abitava al primo piano dello stesso palazzo. Attrice mediocre, ho sempre ammirato la Gardner soprattutto per essere stata un vero “animale sociale”, amante instancabile degli eccessi e del sesso promiscuo. L’emblema della persona che, infischiandosene del giudizio altrui, vede nella vita l’occasione irripetibile per seguire le proprie passioni. Da bambino timido quale ero, ho sempre ammirato molto anche mia madre per la disinvoltura con cui riusciva a fare quello che più le andava. Da adulto, mi sforzo di fare lo stesso. Più facile a dirsi che a farsi: nella nostra società, a pensarci bene, non c’è niente di più provocatorio che essere se stessi».
Testo di Michele Fossi
Publicato su L’Uomo Vogue, settembre 2017