Interview with designer Paul Cocksedge

 

«Il tessuto creativo di Londra si sta smagliando a ritmi preoccupanti. Per colpa del caro-affitti, sempre più artisti, architetti e designer sono costretti ad abbandonare i loro atelier. Recentemente è accaduto anche a me», denuncia il designer Paul Cocksedge, storico collaboratore di Flos e fondatore con Joana Pinho del prolifico Paul Cocksedge Studio, tra gli studi più di successo della capitale britannica, con al suo attivo innumerevoli collaborazioni eccellenti con clienti del calibro BMW, Swarovski , Sony e Hermes. «Ebbene sì, la scure della gentrificazione lo scorso anno si è improvvisamente abbattuta anche sulla mia vita. Dopo dodici anni, sono stato sfrattato dal mio storico studio di Hackney, destinato a trasformarsi presto in due appartamenti di lusso», racconta amareggiato il multipremiato designer, apprezzato soprattutto per il raro binomio di semplicità e capacità di stupire delle sue creazioni: si pensi ai suoi progetti per Flos “Life 01”, il vaso che “prende vita”, illuminandosi, quando si pone un fiore al suo interno e “Shade”, il paralume illuminato dal pavimento, e non dal suo interno, che pare miracolosamente librarsi in aria. «L’idea di dover abbandonare per sempre questo luogo della memoria a me così caro mi ha fatto sprofondare inizialmente in un profondo stato di frustrazione. Poi, una mattina, ho deciso di reagire: dopo aver preso la folle decisione di traslocare ufficio e laboratorio in un hotel, ho iniziato come un invasato a trivellare pavimenti e pareti dello studio, allo scopo di prelevare dei frammenti di materia da trasportare un giorno nel nuovo atelier, feticci trasportabili di quell’energia creativa che per così tanti anni ha aleggiato al suo interno». Nascono da una rielaborazione di questi insoliti e nostalgici carotaggi i cinque mobili della mostra “Evicted”, nata da una collaborazione con Beatrice Trussardi e con la Fondazione Luigi Rovati, visitabile fino al 9 Aprile presso il Palazzo Bocconi-Rizzoli-Carraro in Corso Venezia a Milano. Una rara occasione per visitare il sontuoso palazzo, disabitato da anni, visitabile eccezionalmente solo nei giorni del Salone prima dei lavori di ristrutturazione che lo porteranno a diventare, il prossimo anno, il nuovo Museo Etrusco di Milano. «Per una volta, mi sono concesso il lusso di un progetto eminentemente politico, dove l’artefatto di design non è l’obiettivo finale del processo, ma semmai il punto di partenza per raccontare una storia di vissuto personale nella quale, sfortunatamente, migliaia di creativi londinesi si riconosceranno», spiega mostrando una foto dello studio ridotto ormai ad un colabrodo. «Un progetto di denuncia che, mi auguro, servirà a svegliare gli animi. Vogliamo stare ancora a lungo con le mani in mano? Non è arrivato piuttosto il momento, per noi creativi, di dar vita a forme organizzate di resistenza?». Il designer confessa poi di essere  approdato ad una nuova fase della sua vita dove il “business as usual”, la creazione fine a se stessa di oggetti belli e funzionali, lo interessa sempre meno. «Mi scopro assetato di progetti, come “Evicted”, radicali, ribelli, scomodi. Progetti “puri”, che, un po’ come l’arte di uno dei miei artisti preferiti di sempre, Yves Klein, rifuggano ostinatamente ogni tentazione di scendere a facili compromessi». Tra i suoi progetti del passato che più corrispondono a questa descrizione ed in cui più oggi dichiara di riconoscersi, cita “Poised table”, il tavolo ottenuto piegando un unico foglio di metallo, dalla linea così aggraziata da parer leggero, nonostante pesi mezza tonnellata, con cui nel 2014 si aggiudica il Moet Hennessy PAD London Annual Prize per il miglior design. «Un’idea tanto semplice nelle forme, quanto al limite dell’irrealizzabile nella pratica, giacché un tavolo siffatto, senza gambe e con una parte superiore più sviluppata della base, si ribalta a guardarlo. Per due anni ho cercato, invano, la piega giusta, che conferisse al tavolo la stabilità desiderata. Quando tutti mi dicevano di lasciar perdere, l’ho finalmente trovata». Negli ultimi anni Cocksedge, accanto alla produzione di oggetti e mobili, è sempre più richiesto per le sue poetiche istallazioni temporanee, concepite per far riscoprire il piacere della condivisione e dello stare insieme. Come “Kiss” del 2009, allestita dopo Londra anche a Milano all’interno della galleria Vittorio Emanuele II, con cui fa accendere magicamente di luce la cupola dell’Ottagono ogni qualvolta due innamorati si baciano sotto un tetto di vischio al centro dell’istallazione. O nel 2013, “The Living Starcase”, una scala a chiocciola straboccante di vegetazione realizzata per un complesso di uffici a Soho, concepita per invitare sconosciuti a leggere, disegnare e rilassarsi in un ambiente conviviale. «Presi come siamo dalle mille impellenze delle nostre collaborazioni con l’industria, troppo spesso noi designer ci dimentichiamo di mettere la nostra creatività al servizio di progetti che ambiscano ad esercitare un reale impatto positivo sulla vita delle persone e sulla società». Ad esempio lanciando dei ponti tra tecnologie vecchie e nuove, nel tentativo di porre un freno al sempre più insostenibile consumo di risorse causato dall’obsolescenza tecnologica (troppo spesso programmata) degli oggetti. Quando scopre che, a seguito dell’avvento del bluetooth, nella sola Gran Bretagna vengono gettate 10 000 casse altoparlanti al mese, in gran parte ancora perfettamente funzionanti, nel 2013 mette a punto “The Vamp”, il suo primo prodotto pensato per il mercato di massa: un’interfaccia cubica che consente di trasformare  in dispositivi portatili e smartphone-compatibili, così da regalar loro una nuova gioventù e salvarle dalla pattumiera. «Accanto all’indubbio aspetto ecologico, in questo progetto ne abbiamo anche uno nostalgico-sentimentale: abbiamo davvero voglia di separarci delle nostre care casse vintage che, magari dai tempi del liceo, hanno scandito la colonna sonora della nostra vita?». Cocksedge dichiara di voler continuare a lavorare nella nicchia del design anti-obsolescenza in futuro, ma di non sapere ancora quali forme prenderà questo suo interesse. «L’idea per Vamp mi è venuta casualmente passeggiando per le vie di Hackney, notando sempre più spesso la presenza di casse altoparlanti abbandonate agli angoli di strada. Immagino che anche la prossima idea, al momento debito, mi arriverà, come è avvenuto per tanti altri miei progetti in passato, dall’osservazione attenta della città, specchio fedele dei bisogni e delle esigenze reali delle persone. Questo è vero soprattutto nei suoi quartieri più popolari e brulicanti di vita, i migliori “bazar di idee” dove un designer possa decidere di andare a rovistare alla ricerca di ispirazione. Altro che Google!»

 

Pubblicato su L’Uomo Vogue, Aprile 2017

Photo credit:  Nathalie Tufenkjian

 

Photos by Nathalie Tufenkjian
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