One to watch: Connor jessup

Dopo aver preso parte da bambino alla serie TV per il canale Discovery Kids “The Sattelclub”, a regalare all’attore canadese Connor Jessup una certa notorietà, a soli tredici anni, è il ruolo di Ben Mason nella serie postapocalittica “Falling skies”, che interpreta per ben cinque stagioni. “Quando la serie stava per avvicinarsi alla sua conclusione”, racconta al telefono dal Canada, “mi dicevo tra me e me che difficilmente, dopo quel colpo di fortuna, mi sarebbe capitato di poter interpretare un ruolo così importante”. E invece era solo l’inizio di una rapida ascesa, che lo ha portato, nel giro di pochi anni, ad essere uno dei volti più interessanti sul panorama cinematografico e televisivo canadese, al punto che nel 2016 il Filmmaker Magazine lo ha incluso tra le “25 New Faces of Independent Film” da tenere d’occhio. Nel 2012, a diciotto anni, avviene il battesimo con il cinema d’autore: si vede assegnato il ruolo protagonista in “Blackbird”, film vincitore del Best Canadian First Feature Film award al Toronto International Film Festival, riscuotendo il plauso della critica per la sua interpretazione di un teen ager “goth” accusato ingiustamente di aver pianificato un attentato in una scuola. Nel 2015 torna ad essere protagonista di un film indipendente, “Closet Monster”, premiato lo stesso anno a Toronto col “Best Canadian Film Award”. In quell’occasione il regista del film, Stephen Dunn, dichiarò a riguardo della sua giovane stella: “Connor ha un look da bravo ragazzo, alla Matt Damon, ma ha il dono di valorizzare il lato dark dei personaggi che interpreta. Il che spiega perché lo troviamo così spesso nel ruolo di outsider, di diverso, di vittima, di escluso”.

Con una carriera così ben avviata a soli ventidue anni, i motivi per montarsi la testa non gli mancherebbero. Eppure Connor Jessup decide, a sorpresa, di continuare a parlare delle sue insicurezze. “Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando ho iniziato a recitare.. eppure, forse perché mi sono formato direttamente sul set, da autodidatta, senza mai prendere lezioni di recitazione, ogni volta che arriva il “ciak, si gira”… ho paura. Paura di fare la figura dell’idiota, di sbagliare, di non ricordare le battute. Da un lato è una sensazione paralizzante, dall’altro sento che è proprio questa costante insicurezza a spingermi a dare, ogni volta, il meglio di me”. Paure o non paure, la critica continua a lodare la profondità delle sue interpretazioni. A riscuotere particolare successo, nel 2015, è stata la sua performance nella serie TV “American Crime”, dove interpreta il ruolo, non facile, di uno studente delle superiori fatto oggetto di violenza sessuale da parte di altri studenti. “Anche i maschi sono spesso vittime di abusi a stampo sessuale nelle scuole. Le statistiche sono impressionanti, ma se ne parla pochissimo”. Per prepararsi a questo ruolo, l’attore racconta di aver fatto numerose ricerche su riviste di psichiatria. “Sono rimasto a bocca aperta davanti alla mole di materiale accademico dedicato a questo argomento così poco noto al grande pubblico. Ho chiesto poi a degli psicoterapeuti di aiutarmi a capire il più possibile la complessità psicologica della condizione di vittima, nel tentativo di rendere la mia interpretazione il più sfaccettata possibile. Il cinema tende a soffermarsi sulla fase, solitamente “passiva”, che segue il trauma, caratterizzata da pianto, sensazione di sporcizia, desiderio di trincerarsi dietro un muro di silenzio. Ma poi la vittima evolve, e, come il mio personaggio, può trovarsi a svolgere ruoli attivi, non necessariamente “innocui”. Può ad esempio decidere di vendicarsi dei suoi carnefici. O trasformarsi in carnefice lei stessa”.

Accanto alla sua carriera di attore, da alcuni anni Jessup è sempre più attivo anche dietro la camera da presa. Nel 2011, a quindici anni, il nostro enfant prodige è produttore esecutivo del film indie Amy George. Successivamente è autore e regista di diversi cortometraggi, tra cui la storia di fantasmi “Boy” (2015). Lo scorso agosto il suo progetto di cortometraggio “Lira’s Forest” si accaparra un finanziamento dell’Harold Greenberg Fund destinato ai cortometraggi pensati per trasformarsi successivamente in film, che lo vedrà nuovamente nei panni di autore e regista. Ancora una volta, Jessup ci racconterà una storia di fantasmi. “Sia il corto che la futura versione cinematografica “Simon’s forest”, narrano del sorprendente incontro in una foresta con “lo spirito” di una volpe. Sono sempre stato affascinato dal tema dello spettro. Non tanto, banalmente, come creatura spaventosa, ma piuttosto come manifestazione poetica di quel “mistero dell’esistenza” di cui tutti noi, anche chi sbandiera una visione razionale e materialistica del mondo, subisce in cuor suo il fascino. Non è un caso che sia un grande ammiratore del regista thailandese, Palma d’Oro a Cannes, Apichatpong Weerasethakul, superbo narratore di storie di fantasmi, e di maestri del cinema asiatico d’autore come Edward Yang, Hirokazu Koreeda, Yasujirō OzuOzu, nei cui film, parchi di azione ma in compenso maniacalmente ricchi di dettagli, non sai mai dove finisce la realtà ed inizia il sogno”. “Il genre cinematografico nel quale intendo muovermi nei prossimi anni è molto particolare: storie di fantasmi che si intrecciano ad un dramma familiare. Non vi è infatti famiglia che non abbia i suoi spettri”. Jessup racconta a riguardo un buffo aneddoto: da piccolo raccontò per scherzo a sua madre di aver avuto l’apparizione del fantasma del nonno il giorno del suo funerale. Anni dopo, quando le confessa che si era inventato tutto, lei, con suo grande stupore, si rifiuta di prestar fede a quella confessione tardiva. “Per giorni cercò di convincermi che quel fantasma lo avevo visto per davvero, tanto era il suo bisogno di credere a una vita dopo la morte. Quel giorno capii che gli spettri altro non sono che un’incarnazione delle nostre memorie passate, da cui ci rifiutiamo di separarci. Finché sul pianeta ci saranno esseri umani in grado di ricordare, possiamo star certi che i fantasmi continueranno ad aleggiare nell’aria”.

Pubblicato su L’Uomo Vogue, Febbraio 2017

Photo by Alessio Boni

Fashion editor Ian Bradley

 

 

  

 

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