Nel 1999 Alexander Mac Queen stupì il mondo della moda portando in passerella due robot incaricati di spruzzare vernice spray gialla e nera sull’abito indossato dalla modella Shalom Harlow. Dopo alcuni minuti di furia creativa da parte delle due macchine, non scevra di sensualità, la platea si trovò a contemplare, attonita, il primo abito nato dal connubio artistico tra uomo e robot. “Rinunciando provocatoriamente al controllo totale sulla sua creazione, con quella leggendaria sfilata lo stilista britannico dimostrò di aver intuito, già allora, quella che sarebbe diventata un’importante tendenza nel mondo del design, della musica ed altri settori creativi: la collaborazione non più solo su un piano strettamente tecnico, ma anche “artistico” ed “estetico”, tra uomo e robot». Parole di Amelie Klein, curatrice di “Hello, Robot. Design between Human and Machine, l’imponente mostra in scena dal prossimo 2 febbraio al 14 maggio al Vitra Design Museum di Weil am Rhein, dedicata all’evoluzione della robotica ed al suo profondo impatto nella nostra società. “Grazie alla rivoluzionaria tecnologia del “Deep Learning”, che simula gli schemi di apprendimento del cervello umano, le intelligenze artificiali di nuova generazione, divorando in poche ore sterminati database di libri, immagini, brani musicali, hanno dimostrato di essere in grado di intuire “da sole”, senza cioè che nessuna riga di codice sia lì a spiegarglielo, il nostro senso di bello, armonia, gradevolezza estetica, nella musica, nell’architettura e persino nell’arte. E… farlo “loro”, creando artefatti artistici originali, che hanno un’alta probabilità di piacerci”. Per convincersene basta ascoltare “Daddy’s car”, l’orecchiabile canzone in stile Beatles composta da un robot della Sony, o leggere il romanzo scritto da un robot che, sotto pseudonimo, lo scorso marzo è arrivato tra i finalisti del concorso letterario giapponese Nikkei Hoshi Shinichi Literary Award. O semplicemente sfogliare il catalogo della mostra “Hello Robot”, il cui insolito layout è il frutto di una proficua collaborazione tra un robot ed un grafico, che, si è limitato a scegliere tra le proposte fatte dalla macchina. “L’estetica del futuro, nel design, nella musica e, c’è da scommetterci, presto anche nella moda, si annuncia “ibrida”, sempre più influenzata da contributi non umani. Impareremo presto a vedere in questa tecnologia un potente strumento per stimolare la fantasia, e mettere in discussione le nostre certezze, anche in materia di gusto ed estetica». O non sarà piuttosto, viene spontaneo chiedersi, un’invito ad impigrirci, e delegare alla macchina non solo problemi di calcolo, ma anche la parte più creativa del nostro lavoro? «Trovo più che giustificati questo ed altri inquietanti interrogativi sorti attorno alla diffusione della “creatività artificiale”, dichiara Paul Feigelfeld, esperto di nuove tecnologie, e consulente esterno della mostra. «Manderà in tilt il mercato del lavoro, destabilizzando così l’intera società? La consegnerà definitivamente nelle mani di pochi tecnocrati? Di sicuro, su un piano più filosofico, l’avanzata dei robot ci obbligherà a ribaltare completamente la nostra nozione di creatività: per secoli abbiamo pensato ingenuamente fosse una prerogativa umana, oggi scopriamo che può addirittura essere una qualità della materia non vivente». A pensarci bene, cos’è quel guizzo di ingegno che ci consente di partorire nuove idee, se non anch’esso il risultato di un potente algoritmo in grado di imparare, e creare materiale originale sulla base di pattern, analogie e opposizioni, concepito per “girare” su reti di neuroni invece che su chip di silicio? E poi la domanda principe: Conta veramente se un’opera è stata realizzata da un umano o da una macchina, se è in grado di piacerci, ispirarci, e persino commuoverci?
Pubblicato su Vogue Italia, Febbraio 2017