Interview with Pierre Deladonchamps

A regalargli un’improvvisa notorietà internazionale, nel 2013, fu la sua convincente performance nei panni di Franck, il protagonista del thriller gay “Lo sconosciuto del lago” del regista Alain Guiraudie: un personaggio di non facile interpretazione, per quel suo essere costantemente in balia di pulsioni opposte (l’attrazione sensuale e romantica per la  “bestia” un atletico ed affascinante serial killer — e la paura di esserne “sbranato”), che nel Febbraio 2014 vale a Pierre Deladonchamps un César come “migliore promessa maschile”. «Quel film ha segnato uno spartiacque nella mia carriera”, racconta l’attore francese. “Improvvisamente sono iniziate a piovere proposte cinematografiche che — novità assoluta per me — non prevedevano di passare attraverso  casting. Il lusso dei lussi per un attore: non dover lavorare a tutti i costi, ma poter scegliere le proprie collaborazioni ». Basta guardare alla qualità delle sue due ultime fatiche cinematografiche, i due raffinati lungometraggi “Le fils de Jean” di Philippe Lioret (“Welcome”) e l’atteso “Éternité” del regista  franco-vietnamita Trần Anh Hùng, entrambi in uscita in questi giorni nelle sale francesi, per dedurre che l’attore ha imparato presto a far buon uso di questo privilegio recentemente acquisito. «Lavorare in parallelo con due dei miei registi preferiti di sempre è stato come coronare un sogno. Nel caso di Lioret, ho sempre trovato straordinaria la sua capacità di portare al grande pubblico film sofisticati, d’autore, che solitamente si rivolgono ad un mercato di nicchia. Questo grazie a trame coinvolgenti — e “Le fils de Jean”, di cui interpreto il ruolo di protagonista, non farà eccezione — che tengono lo spettatore incollato allo schermo fino all’ultima scena. Non meno profonda, dai tempi de “Il profumo della papaya verde”,  è la mia ammirazione per il genio poetico di Trần Anh Hùng. Di questo suo ultimo progetto, che narra la storia di un matrimonio combinato nella Francia di fine ‘800, mi ha sedotto immediatamente il copione insolitamente scarno, parco di descrizioni e pressoché privo di dialoghi, sul quale il regista, grazie anche ad un’attenzione  viscontiana per il dettaglio e per il bello, ha saputo costruire un film ad alto impatto estetico, intriso di sogno e mistero. Credo di poter affermare di aver avuto l’onore di prendere parte al capolavoro della sua carriera, o così almeno lui mi ha confessato di considerare questo suo ultimo film.”» Dribbla poi con maestria il tentativo del suo intervistatore di carpire qualche tratto più intimo della sua persona attraverso la domanda: “Vi è forse un personaggio, tra quelli che hai interpretato nella tua carriera, cui ti senti più simile caratterialmente?”. «Mi sarebbe impossibile sceglierne uno in particolare», risponde diplomatico. In ogni interpretazione, l’attore, che ne sia più o meno conscio, finisce col mettere una parte di sé. Si tratta, del resto, di uno degli aspetti più affascinanti di questo mestiere: poter vivere più vite in una. Ogni qualvolta entri nella pelle di un personaggio, ti accorgi che alcuni suoi tratti ti calzano a pennello, col risultato che finisci per mettere a fuoco nuovi lati di te. A volte l’esperienza di immedesimazione può essere così forte che non sei più così sicuro dove finisci tu e dove inizia il personaggio. In questi casi mi ci vogliono giorni, se non settimane, per scrollarmi il personaggio di dosso a riprese ultimate.» L’attore rivela in compenso in quale personaggio gli è risultato più difficile calarsi. «Sicuramente il Duke protagonista di “Une enfance”,  il bel film drammatico di Philippe Claudel uscito nell’autunno del 2015. “Un personaggio che, fin dalla lettura del copione, ho percepito letteralmente “ai miei antipodi”: un adulto prigioniero di una forma sterile di ribellione, incapace di trovare obiettivi nella vita per i quali valga la pena battersi, e decisamente meno maturo del figliastro tredicenne cui dovrebbe fare da guida». Deladonchamps si dichiara poi impaziente di iniziare le riprese di “Nos années folles”, il nuovo film di André Téchiné, che, ancora una volta, lo vedrà nei panni del protagonista. «Il film racconterà la storia vera di un disertore di guerra che decide in accordo con la moglie di travestirsi da donna per rimanere in incognito e sfuggire alla corte marziale», rivela. «Non escludo che in qualche spettatore l’ambiguità di questo personaggio possa suscitare un’epidermica reazione di rifiuto. Tanto meglio: non è forse questo uno degli aspetti più affascinanti del cinema d’autore, il suo potere di condurci fuori dalla nostra “Comfort zone” ed istillarci domande, non necessariamente sempre gradevoli, che difficilmente, per pigrizia mentale o mancanza di coraggio, ci saremmo posti da soli?» Tra i progetti degni di nota di Deladonchamps vi è sicuramente anche la bella serie TV in soli sei episodi “Trepalium”, trasmessa questo inverno sul canale franco-tedesco “Arte”. «La vicenda si svolge in un inquietante futuro distopico dove il lavoro, sempre più eseguito dalle macchine, sarà appannaggio di una ricca minoranza che vive arroccata all’interno di gated community, fuori dalle quali l’umanità disoccupata, sprofondata nell’anarchia, combatte per l’esistenza. «Spero che evocando questo spettro del futuro, Trepalium possa servire ad esorcizzarlo!», si augura l’attore, che nella serie interpreta il ruolo di una sentinella. «Amo pensare che, anche se sempre più lavoro verrà automatizzato, non per questo gli esseri umani saranno meno utili su questo pianeta. Affrancati dalle attività più alienanti, avremo, spero, più tempo per quelle che nutrono l’anima, diventando così cittadini del mondo migliori.»

Pubblicato su L’Uomo Vogue, Settembre 2016

 

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