Un concerto di cinguettii, grida di macachi e chissà quali altre misteriose, esotiche creature, — la “voce” seducente e al contempo inquietante di una foresta pluviale rimasta inviolata da oltre 140 milioni di anni — è l’indimenticabile saluto di benvenuto che l’isola-resort di Pangkor Laut (www.pangkorlautresort.com) riserva ai suoi privilegiati visitatori: poche decine in tutto, quante sono le palafitte e le ville di lusso in cui è strutturato l’esclusivo resort, l’unico presente su quest’isola privata situata a circa tre ore di guida da Kuala Lumpur. Basta una passeggiata di pochi minuti all’ombra di imponenti sicomori giganti, osservati da coppie di tucani ed altri volatili dal piumaggio esotico, per convincersi di essere approdati in un luogo magico e fuori dal tempo, dove l’Uomo è ospite e la Natura regna ancora sovrana. “Un paradiso in terra”: così l’ebbe a definire nel 2002 Luciano Pavarotti, durante la visita di inaugurazione dello “Spa Village”, considerato oggi uno dei centri benessere più completi e all’avanguardia del mondo. Da non perdere, in un ventaglio di trattamenti che spazia dall’Ayurvedica ai massaggi giapponesi, la vera specialità di Pangkor Laut: il “massaggio malese”, una tecnica ibrida nata sull’isola di Sumatra nel I sec DC, che combina leggere pressioni dei pollici, di origine cinese, con movimenti del palmo della mano, di origine indiana. Altissimi standard anche per l’offerta gastronomica: per viziare il palato, accompagnati dalla musica dell’oceano indiano che si infrange sugli scogli, a Pangkor Laut si può scegliere tra cinque ristoranti d’eccezione: come “Fisherman’s cove”, specializzato in grigliate di pesce appena pescato sull’isola, e “The Straits”, ottimo indiano con un twist malese. La seconda tappa del viaggio ci porta, dopo due ore circa di macchina in direzione est, sulle fresche alture delle Cameron Highlands, sede di alcune tra le più importanti piantagioni di tè del paese, come “Boh” e “Cameron Bharat”. Seguendo il percorso di trekking “1/48” che parte da Brinchang si finisce col perdersi in quello che, senz’ombra di dubbio, è uno dei paesaggi agricoli più suggestivi del mondo, tra intricati dedali di cespugli dai germogli verdissimi che si perdono all’orizzonte, che a qualcuno ricorderanno quelli di Alice nel paese delle meraviglie. Per il pernottamento, la scelta ricade obbligatoriamente su un gioiello di architettura coloniale: il “Cameron Highlands Resort”, noto per riunire sotto lo stesso tetto la spa più rinomata della regione e un ottimo ristorante dove, stando agli esperti, viene preparato il miglior “Beef Wellington” di tutta la Malesia. Il viaggio indietro nel tempo continua al superbo “Hotel Majestic” (www.majestickl.com) di Kuala Lumpur, un altro capolavoro di architettura d’epoca coloniale recentemente riportato all’antico splendore. Qua, dopo un un pranzo al nostalgico “café colonial” (da non perdere il “Hainanese chicken chop”, preparato ancora oggi secondo una ricetta della mamma del proprietario), ci si può viziare, come un lord d’inizio secolo, con un “High tea” nella “sala delle orchidee”, farsi dare un’aggiustatina alla barba da “Truefitt & hill” al piano basso, oppure, la sera, abbandonarsi ai virtuosismi vocali di una cantante jazz nella hall. Se non proprio la più bella città del mondo, la caotica Kuala Lumpur riserva piacevoli sorprese che giustificano una sosta di alcuni giorni. Una visita al Museo Islamico rappresenta un’ occasione unica per approfondire le proprie conoscenze del Corano, e mettere a fuoco le principali differenze architettoniche tra le moschee dei vari paesi islamici. Una visita allo “SkyBar” (presso il Traders Hotel) consente invece di godere della migliore vista dello skyline della città, ed in particolare delle Petronas Twin Towers, ottavo e nono grattacielo più alto del mondo, e del loro vertiginoso ponte sospeso. Sarebbe un delitto infine lasciare la capitale senza aver assaggiato i piatti forti della tradizione gastronomica malese. Allo scopo si può alternare una visita alla colorata strada dello street food, Jalan Alor, ad un pellegrinaggio al al ristorante “Bijan” (www.bijanrestaurant.com), vero e proprio tempio della cucina malese, noto per la qualità e ricercatezza degli ingredienti. Qui è possibile assaggiare piatti difficilmente reperibili in Europa, come i “gamberi al puck paku”, una pianta tipica del Borneo, e il Rendang kambling, saporito piatto a base di agnello cotto quattro ore. (Per il noleggio auto, si consiglia “Prima Odissey” (www.primaodissey.com), una giovane ed affidabile azienda a conduzione familiare, che offre un comodo servizio di pick up direttamente all’hotel.
Pubblicato su L’Uomo Vogue, Luglio-Agosto 2016
Photo credit: Clara Vannucci























