Interview with designer Nitsav Cohen

«Il regalo più bello che ho ricevuto durante la mia infanzia, allepoca in cui vivevo con la mia famiglia in un kibbutz, è stata una confezione di LEGO Technic, la versione per grandicorredata di ingranaggi, motori ed altri pezzi meccanici. Credo che la mia passione per il design sia nata lì, tra quei mattoncini colorati, con cui ho giocato per inverni interi» , racconta il designer israeliano Nitzan Cohen, fondatore nel 2007 dellomonimo studio multidisciplinare con sede a Monaco di Baviera, apprezzato a livello internazionale per lapproccio concettuale al design e una spiccata capacità di pensare out of the box, che negli anni gli sono valse le attenzioni di clienti del calibro di BMW, Diesel e Mattiazzi. Le sue idee, frutto di lunghi mesi di ricerca teorica, convincono per un raro connubio di qualità: semplicità e capacità di rompere gli schemi. Un esempio per tutti: il Chandelier and flying curtain, un insolito lampadario che, a comando, si trasforma in una sorta di tenda beduina che dallalto cala attorno al tavolo che illumina, trasformando dun sol colpo latmosfera rumorosa di un ristorate affollato in quella intima di un tè nel deserto. «Non mi sono mai sentito uno stilista”», racconta, «Degli aspetti puramente estetici e stilistici di un oggetto, per importanti che possano essere, mi occupo solo dopo aver messo a fuoco lidea di fondo, che deve essere al contempo semplice e forte. Nelleconomia della mia pratica creativa, questa fase di ricerca, nella quale si pensa molto ma si disegna poco, è quella che di gran lunga occupa più tempo». Dopo aver lavorato a Tel Aviv come tecnico del suono e scenografo per la TV, Cohen studia per un anno arte, per poi iscriversi alla rinomata Design Academy di Eindhoven. Seguono sei anni passati nello studio di Konstantin Grcic a Monaco. «Venivo da una scuola famosa per lapproccio teorico, quasi filosofico, al design, e quando lessi Designer industrialesulla porta del suo ufficio, fui assalito dal dubbio di essere finito nel posto sbagliato. Col tempo ho capito che per Grcic quella parola aveva il sapore della sfida: la progettazione di un oggetto destinato alla produzione in serie rappresenta infatti un complesso puzzle di difficoltà di ordine pratico, economico ed estetico, la cui risoluzione richiede non solo competenze nei settori più svariati, ma anche molta più creatività e fantasia di quanto credessi inizialmente. Con mia sorpresa, quella sfida finì con lappassionare anche me». Dopo aver insegnato alle università di Stoccarda, Ginevra e Saarbrücken, Cohen ricopre da questanno una carica di professore alluniversità di Bolzano. «I miei studenti mi chiedono spesso di assegnare loro compiti a casa. Si stupiscono quando rispondo che preferisco che siano loro, se lo desiderano, a darsi dei compiti. Non vi è niente di più importante, per un designer interessato a intercettare il nuovo, che imparare a formulare domande, piuttosto che limitarsi a cercare risposte a problemi esistenti». «In unepoca dominata dalla tecnologia», lamenta il creativo, «al designer vengono ormai richiesti quasi solo interventi superficiali, limitati alla gradevolezza estetica delloggetto e del suo packaging. Ci si dimentica che il designer, per sua natura figura interdisciplinare, al crocevia tra estetica, tecnologia e addirittura psicologia, potrebbe dare un contributo importante ad aziende e persino ai governi, nel tracciare scenari per il futuro. Quali bisogni dovrà soddisfare la tecnologia tra dieci, venti anni? Il designer spesso lo intuisce prima di altri, ma raramente lo si interpella». Tra i prodotti più di successo  usciti dalla matita del designer israeliano, vi è una coppia di sedie dal nome insolito: He said/she said, commercializzate da Mattiazzi. «Limmagine che avevo in mente era quella di una coppia di amanti seduti, uno accanto allaltra, sulla terrazza di un caffè parigino. Lui le sussurra una cosa, lei risponde… da qui il nome». «La sedia è una delle tipologie di oggetto che più amo disegnare», rivela, «perché è concepita per essere in relazione intima col corpo umano e perché non impone pressoché alcun vincolo alla fantasia del designer. Non è un caso che sia, non di rado, loggetto di una stanza dalla personalità più esuberante».

Pubblicato su L’Uomo Vogue, Aprile 2016

Photo Credit: Alberto Zanetti

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