In mostra a Venezia una perla rara degli UAE: Lo Sha’bi housing, edilizia popolare plasmata dai reali bisogni dei suoi abitanti. Intervista con il Prof. Yasser Elsheshtawy. curatore del padiglione degli UAE ed autore di “Dubaization”, definito uno dei migliori “city blog” del mondo da The Guardian.
«Per la XV edizione della Biennale di Architettura di Venezia, il direttore Alejandro Aravena ha chiesto esplicitamente ai curatori dei Padiglioni nazionali di dare la priorità a progetti di “architettura di tutti i giorni”, quella che si dà per obiettivo un reale miglioramento della qualità della vita delle persone più che la conquista delle pagine delle riviste patinate. Una richiesta non così facile da esaudire, mi son detto in un primo momento, se si guarda al panorama architettonico degli Emirati Arabi, caratterizzato com’è noto da interventi tanto spettacolari quanto impersonali e decontestualizzati», racconta il Prof. Yasser Elsheshtawy. curatore del padiglione degli UAE e noto soprattutto per essere l’autore di “Dubaization”, definito uno dei migliori “city blog” del mondo da The Guardian. «Poi ho pensato a una “perla” dell’architettura emiratina ingiustamente finita nell’ombra, lo “Sha’abi housing”, il programma di edilizia “popolare di stampo quasi socialista inaugurato negli anni ’70 dagli sceicchi per favorire la nascita di insediamenti urbani». Quando furono fondati nel 1971, gli Emirati Arabi erano abitati quasi esclusivamente da nomadi beduini. Persino ad Abu Dhabi, dove una fetta della popolazione già viveva in maniera stanziale, le abitazioni erano costruite in materiali poco resistenti e facilmente deperibili. Per favorire la nascita di insediamenti stabili, furono costruite migliaia di Sha’abi house, spartane case popolari costituite da più moduli a pianta quadrata o rettangolare disposti attorno ad una corte interna. «L’aspetto più affascinante di queste costruzioni è che, col passare degli anni, gli inquilini hanno preso a personalizzarle, dando origine ad un connubio di architettura formale ed informale insolito ed originale per la regione: non solo hanno aggiunto elementi decorativi, scelto nuovi colori ed allestito meravigliosi giardini, ma ne hanno anche modificato la pianta, ad esempio aprendo nuove porte e, soprattutto, col crescere delle famiglie, aggiungendo nuove stanze. Col risultato che oggi, le shabi house sono un raro esempio di “architettura multigenerazionale”, dove nonni, figli e nipoti convivono nella stessa unità abitativa». Sfortunatamente, lancia l’allarme Elsheshtawy, nel paese dello sci nel deserto e degli hotel a sette stelle, dove l’eclatante è di casa, manca oggi la sensibilità per valorizzare questa sobria architettura semi-spontanea, plasmata dalle esigenze concrete delle persone e non, per una volta, dalla vanità delle archistar. «Gran parte delle Sha’abi house sono state spianate dalle ruspe, per far posto a ville sontuose e moderne. Ne esistono tuttavia ancora dei begli esempi che meritano di essere protetti, soprattutto ad Abu Dhabi, nella città-oasi di Ai Ain, così come nel quartiere Satwa a Dubai. Ci auguriamo che il lavoro che presenteremo a Venezia servirà a creare interesse attorno a questa architettura così vivace ed autentica prima che sia troppo tardi».
Pubblicato su Casa Vogue, Aprile 2016
Photo credit: courtesy of Yasser Elsheshtawy