«Da bambino, per addormentarmi, mia madre mi raccontava spesso delle favole. Quando arrivava al fatidico “E vissero felici e contenti”, una delle mie domande di rito era: “E dopo? Cosa successe?”, ricorda divertito Michael Cunningham, vincitore del premio Pulitzer nel 1999 per “Le Ore” (da cui Stephen Daldry nel 2002 ha tratto l’indimenticabile versione cinematografica vincitrice di un premio Oscar con Nicole Kidman, Meryl Streep and Julianne Moore) ed autore di numerosi romanzi di successo, tra cui “Carne e sangue”, “Dove la terra finisce” e “Una casa alla fine del mondo”. A distanza di qualche annetto, quel bambino curioso si è preso la libertà di trovare le risposte a quella e a tante altre domande che sua madre, “aprendosi in un sorriso ed esalando una nube di fumo”, liquidava con un insoddisfacente: “Quante domande, Michael, è tardi, dormi!”. Nasce così “A wild Swan” (da pochi giorni disponibile nella versione italiana “Un cigno selvatico”, edita da “La nave di Teseo”): una raccolta di fiabe della tradizione, rielaborate per un pubblico adulto in chiave insolitamente dark e psicoanalitica, e raccontate nello stile inconfondibile – essenziale, evocativo e, in quest’opera più che in altre – intriso di humour – dello scrittore americano. In “Poisoned”, ad esempio, ci ritroviamo catapultati nella stanza da letto di una Biancaneve ormai sposa del principe, e, a sorpresa … decisamente stufa dell’ossessione erotica maturata da suo marito verso quel primo potente bacio con cui, nel bosco, riuscì a riportarla in vita. «Ti ritrovi a baciare Biancaneve tutti i giorni.. ma siamo sicuri che quelle effusioni conservino, col passare degli anni, lo stesso sapore di quel primo, miracoloso bacio nel bosco? E che quel ricordo non si trasformi, tra le pieghe della psiche, in un feticcio sessuale che esige di essere rivissuto ad ogni amplesso?», racconta ridendo lo scrittore. Molti dei riferimenti sessuali contenuti nelle fiabe di “Un cigno selvatico”, sottolinea subito dopo, non vanno letti come meri divertissement letterari: aggiunte posticce e gratuite di uno scrittore affascinato dal perverso. «Nella maggior parte dei casi mi sono limitato a portare in superficie implicazioni sessuali che, a mio avviso, erano chiaramente presenti tra le righe di gran parte delle versioni originali delle fiabe. Nel caso de “La Bella e la Bestia”, ad esempio, la tradizione letteraria e cinematografica ci consegna l’immagine sdolcinata e romantica di una fanciulla che si invaghisce, superata la paura iniziale, di un mostro. E se invece, dietro a quella relazione, si nascondessero pulsioni ben più torbide da parte della Bella? Avete mai provato, nella vostra vita, attrazione per una “bestia”?», chiede malizioso. «E cioè per una persona dominata dall’istinto, selvaggia, trasgressiva, che trasuda ormoni sessuali da ogni poro… forse addirittura “pericolosa”, e, proprio per questi motivi, irresistibilmente sexy? Nella trasposizione cinematografica di Jean Cocteau, il principe, rotto l’incantesimo, si trasforma nel suo improbabile amante del momento: un’epifania così deludente, che Greta Garbo, uscendo dalla sala del cinema, pare abbia dichiarato: “Vi prego, ridatemi la bestia!”». Un altro esempio è la vecchia strega di Hans e Gretel, che, nella versione di Cunningham diventa una patetica fashion victim sfiorita dagli anni, prigioniera del desiderio senile di essere ancora desiderabile. “E … commestibile, sessualmente parlando, s’intende. Per questo si costruisce una casa di zucchero e marzapane nel bosco. Solo che gli Hansel e Gretel che bussano alla sua porta non si riveleranno proprio le due anime belle, ingenue e manipolabili, che si era augurata». Altre favole, rivela, sono state incluse nella raccolta nel tentativo di dare un’interpretazione psicologica a comportamenti di alcuni personaggi, apparentemente illogici, che, da bambino, lo lasciavano perplesso. «“Perché il re ha detto questo”? Perché la principessa ha fatto quest’altro? Chiedevo immancabilmente a mia madre, che – non so davvero come abbia fatto a sopportarmi! – continuava ad esalare nubi di fumo ed a rispondermi, sempre col sorriso : “Quante domande Michael! Dormi!”. Perché, mi chiedevo già a sei anni, la protagonista di Rumplestiltskin accetta di sposare un re sadico che, un momento prima, non avrebbe esitato a decapitarla nel caso non fosse riuscita a trasformare la paglia in oro? La risposta che mi balza agli occhi, oggi, da uomo navigato, è semplice: perché era assetata di potere! Una donna disposta a tutto pur di diventare regina, per, chissà, divertirsi ad esercitare anche lei quel potere di vita e di morte sul primo malcapitato che le fosse capitato a tiro! (ride). Perché la moglie del gigante in “Jack e la pianta di fagioli”, pur sapendo che Jack è un ladro che già ha derubato suo marito, gli riapre la porta una seconda volta? Forse che costei desiderasse, in cuor suo, di punire un consorte che la rendeva infelice? Forse che, inconsciamente, gli augurasse addirittura la morte per mano di uomo più giovane?». «Se ho riscritto e reinterpretato queste storie, non è stato per lasciare in eredità ai posteri un “commentario postmoderno” alla letteratura per l’infanzia, cinico e disincantato, fine a se stesso», precisa la scrittore. «Al contrario, con “Un cigno selvatico” ho inteso pagare un tributo a queste signore un po’ attempate cui sono profondamente affezionato, che per anni ci hanno mentito sulla loro vera età: oggi gli scienziati ci raccontano che alcune di esse risalgono addirittura all’età del bronzo! Amo profondamente queste storie: esse costituiscono documenti di rara importanza, che per via orale hanno superato indenni i flutti dei millenni, per consegnarci, oggi, l’essenza di ciò che significa stare al mondo, essere umani. Altrimenti, perché ce le saremmo raccontate, per centinaia di generazioni?». A concludere la raccolta, “Ever/After”, l’unica delle undici favole nata dalla fantasia di Cunningham e l’unica, dopo tanti finali macabri, a portare con sé un germe di speranza. «“Ever/after” parla di un matrimonio combinato per sigillare la pace tra due regni. I due non si amano, ma col passare degli anni maturano un affetto profondo l’uno per l’altra. Anche i loro tre figli, dopo numerosi problemi esistenziali, trovano ciascuno a modo suo la propria strada nella vita. Le favole contengono anche un rassicurante elemento di continuità, cui volevo dar voce: da un lato ci avvertono che il mondo è un luogo pieno di mostruosità e pericoli, dall’altro ci ricordano che, passata la tempesta, torna sempre il sole. E che, anche se a volte siamo testimoni di eventi orribili, la vita continua. Raramente uguale a prima, ma continua. Sempre.»
Pubblicato su L’Uomo Vogue, Maggio 2015
Photo credit: Sebastian Kim
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