The wild food ambassador: Interview with finnish chef Sami Tallberg

Basta sfogliare le pagine di due fra i più bei libri di cucina dedicati al “wild food” scritti da alcuni degli chef più acclamati al mondo, come “Fäviken” dello svedese Magnus Nilsson e “D.O.M. – Rediscovering Brazilian Ingredients” del paulista Alex Atala, per convincersi delle potenzialità infinite delle piante selvatiche, ingredienti a lungo trascurati che, da alcuni anni, tornano prepotentemente da protagonisti nei menu dei ristoranti stellati, preparati non di rado con tecniche prese in prestito dalle migliori cucine del mondo, come quella italiana e francese. «Si pensi a capolavori come la “Senape selvatica tostata” dell’australiano Ben Shewry o i “Mirtilli con paleo odoroso” di Isaac McHale: è come se gli chef avessero scoperto di colpo una nuova tavolozza di colori con cui dipingere i loro piatti», spiega il finlandese Sami Tallberg, considerato uno dei più Influenti e creativi ambasciatori del wild food nel mondo ed autore del ricettario “Wild Herb Cookbook”. «La cosa non deve stupire. Gli ingredienti selvatici intercettano tre delle tendenze più importanti, e trasversali, dei nostri anni: attenzione al territorio, sostenibilità, e, riportandoci nei boschi, ricerca dell’armonia perduta con la Natura». Tallberg attribuisce a René Redzepi, pluripremiato chef del Noma di Copenhagen, il merito di aver «elevato il locavorismo da movimento ecologico a nuovo paradigma gastronomico, nobilitando ai più alti livelli della gastronomia ingredienti fino a poco prima scartati come erbacce». E se lui e molti dei suoi celebri epigoni, come lo svedese Fredrik Anderson o lo spagnolo Alex Garès, sono famosi per passare più tempo nei boschi alla ricerca di ingredienti che davanti ai fornelli, un numero crescente di chef si serve ormai – assicura Tallberg – di una nuova figura professionale: il “raccoglitore professionista”. «Uno dei più influenti è senz’ombra di dubbio il mio mentore Miles Irving, l’autore della bibbia per raccoglitori “The forager handbook” e l’uomo che, da quindici anni ormai, rifornisce di piante selvatiche i migliori ristoranti di Londra. Nel suo erbario, ci insegna che raccogliere le piante selvatiche non è un hobby ma un’arte, da praticare con umiltà, rispetto e soprattutto buonsenso: occorre non solo imparare fin da subito a riconoscere le varietà tossiche, come la “cicuta aglina”, ma anche evitare il sovrasfruttamento di quelle più rare e delicate, come la “felce dolce” (Polypodium Vulgare) ed il “cavolo marino” (Crambe Maritima), veri e propri “assi nella manica” in cucina a lungo dimenticati che, non diversamente da alcuni funghi, esigono di essere raccolte con moderazione.»

 

Pubblicato su L’Uomo Vogue, Gennaio 2015

http://www.vogue.it/uomo-vogue/news/2015/02/food-new-trends

Photo credit: Courtesy of Sami Tallberg.

 

 

 

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