Dopo la suggestiva ricostruzione, lo scorso anno, de “La Maison au bord de l’eau” della designer e fotografa , Louis Vuitton torna questo dicembre a Design Miami con un nuovo progetto volto a celebrare, ancora una volta i valori, di “mobilità” e “trasportabilità” nel design cari alla maison francese: la realizzazione di una linea inedita di mobili progettati nel 1972 dal designer “pre-pop” Pierre Paulin per il celebre marchio americano Hermann Miller, e mai realizzati. “Si tratta di diciotto pezzi, ispirati al principio della “adattabilità”, spiega Maïa Wodzislawska Paulin, moglie e collaboratrice del visionario designer scomparso nel 2009, noto soprattutto per le sue colorate sedute biomorfe a forma di lingua o gambe piegate e per il futuristico arredo degli appartamenti privati del presidente Pompidou realizzati all’Eliseo nel (1971). “Mobili cioè pensati per cambiare forma, e persino funzione, in base ai vincoli geometrici dell’unità abitativa, nonché al numero di persone che la abitano”. “Per questo progetto di mobili “nomadi”, scomponibili e rimontabili a piacimento, e quindi facilmente trasportabili, Pierre guardava sia al futuro che al passato”, spiega Maïa Wodzislawska. “Da un lato vi era in lui il desiderio di fornire ai giovani dei mobili più intelligenti e flessibili, in grado di adattarsi come un guanto alle mutevoli esigenze dei tempi moderni; dall’altro la suggestione per le imponenti e polverose “carovane” che accompagnavano ogni cambio di residenza della famiglia reale francese, che, com’è noto, portava con se’ ogni volta l’intero mobilio di palazzo”. Tra gli oggetti della collezione più rappresentativi del carattere anticipatore, e per certi versi sovversivo, del pensiero di Paulin, Maïa Wodzislawska segnala la “libreria-parete”: un mobile a struttura modulare, montabile nelle dimensioni desiderate, concepito per funzionare come una vera e propria parete separatoria. “Eravamo negli anni del boom edilizio”, rievoca Wodzislawska, “Anni in cui si costruiva molto, male ed in fretta, col risultato che le piantine degli appartamenti, quasi sempre opera di ingegneri e non architetti, raramente rispondevano alle reali esigenze dell’individuo. Con questo progetto Pierre intendeva dotare le nuove generazioni di uno strumento con cui riappropriarsi della progettazione dei propri spazi abitativi”. Degno di nota anche il “tappeto-sedia”: una seduta, anch’essa di natura modulare, ispirata dalla tradizione orientale di sedersi al livello del pavimento. “Questo oggetto nasce dalla visione di un tatami, o di un tappeto orientale, che, magicamente, assume la forma tridimensionale di una poltrona. Un esempio di come Pierre elaborasse continuamente le suggestioni dei suoi numerosi viaggi, alla ricerca di una sintesi tra culture diverse.” A far naufragare, nel 1973, il progetto di realizzare i 18 mobili presso Hermann, lo scoppio improvviso della crisi petrolifera, che – ricorda Maïa Wodzislawska – obbligò l’azienda statunitense ad un rapido dietro-front. “A distanza di più di quarant’anni, colpisce come il design di questi mobili, che in virtù della loro natura modulare rispondono perfettamente agli imperativi di durabilità e sostenibilità dei nostri giorni, sia ancora così attuali. La cosa non deve stupire più di tanto: l’ottimizzazione dei processi produttivi attraverso un design intelligente, con conseguente risparmio di materie prime e costi per l’industria, era al centro del pensiero di Pierre. E questo – senza che all’epoca ne avesse coscienza, giacché la parola doveva ancora essere coniata – lo rendeva sicuramente un “eco-designer” ante litteram.
Pubblicato su L’Officiel Italia, Dicembre 2014