«Il curioso titolo del secondo album della band francese Hangar, “Ivre-mer” (“ubriaco mare”), uscito a marzo, trae origine da una tragedia scampata per un soffio. Un giorno d’estate di due anni fa, la fidanzata del nostro cantante, Antonin Batherotte, ha rischiato per un soffio di morire annegata in Grecia per colpa di un’onda anomala», racconta Romain Pincolles, il carismatico chitarrista e, insieme a Batherotte, co-fondatore del gruppo. «Provatissimo da quell’esperienza, quella sera a cena Antonin alzò terribilmente il gomito. Ad un certo punto, volendo dire “je suis ivre mort” (sono ubriaco fradicio, ndr), per un lapsus gli scappò detto “ivre-mer”, “ubriaco-mare”, scatenando così l’ilarità generale. Mai e poi mai avremmo pensato che dall’atmosfera assurda, a metà tra l’euforico ed il cupo, che sempre si lasciano dietro le tragedie scongiurate per un soffio, sarebbe nata una canzone diversa dalle precedenti, caratterizzata da un sound più maturo, agli antipodi dal rock “sucré” – senza palle, diciamocelo – del primo album. Una canzone a cui attribuisco il merito di averci mostrato quello che già eravamo, e che ancora non sapevamo di essere.» Formatisi nel 2005 a Cap-Ferret, non lontano da Bordeaux, quando Pinsolle aveva solo sedici anni e Batherotte ventidue, dopo decine di esibizioni live, ed in particolare un sold out da 600 posti alla Barbey Rock School di Bordeaux, gli Hangar nel 2007 decidono che i tempi sono maturi per tentare la sorte a Parigi. Per tre anni calcano ininterrottamente le scene dei locali più “in” della capitale, come il Baron o il Réservoir, fino a quando, nel 2010, l’industria musicale si accorge finalmente di loro: in quell’anno la prestigiosa etichetta Polydor (che nella sua scuderia vanta nomi del calibro di Lady GaGa, Black Eyed Peas, Olivia Ruiz), pubblica il loro primo maxi, seguito a ruota, nel 2011, dall’album eponimo, “Hangar”. «Chi associasse il nostro nome alla folk-pop leggera del single di lancio, “Version Originale”, credo rimarrà spiazzato dal pop sofisticato ed evanescente di “ivre mer”. Siamo cresciuti.» Gran parte del merito dell’indubbia maturazione musicale del gruppo – è Pinsolle il primo a riconoscerlo – va al produttore Jean-Pierre Plunier, noto soprattutto per le sue collaborazioni con Ben Harper, The Growlers e Jack Johnsoni, che ha accompagnato la band durante l’intera creazione dell’album. «Imbatterci in questo raffinato musicista, dotato di una cultura ed un’“integrità” musicale straordinaria, è stato per noi come trovare la pietra filosofale. Ha saputo instillarci l’amore per i suoni puri, essenziali, insegnandoci l’arte di liberarci del superfluo senza troppi rimpianti. È come se, di colpo, avessimo scoperto il segreto della semplicità.» Al centro del modus operandi di Plunier», rivela Pinsolle, «vi è la valorizzazione dell’imprevisto e dell’errore umano. Se ad un certo punto sbagli una nota, un accordo, o semplicemente la corda ti scivola tra le dita, puoi star certo che è proprio su queste “sbavature” caratteristiche delle esecuzioni live che lui costruirà un nuovo pezzo». Una vera e propria tecnica creativa da cui nasce anche “Soleil profond”, ultima traccia dell’album e pezzo preferito di Pinsolle. «È una canzone che ascolto volentieri quando mi ritrovo a casa da solo e sono d’umore nero. Si tratta di un pezzo languoroso registrato su nastro per conferirgli sonorità più calde, anni ’70, che va sentito rigorosamente dopo la mezzanotte, con un bicchiere di whiskey in mano e col volume al massimo. Nonostante le buone critiche (Il quotidiano francese Libération ha parlato entusiasticamente di “pop intelligente… una pista chic da seguire”), l’uscita di Ivre mer porta alla luce una serie di divergenze all’interno del gruppo. «Non ne faccio mistero, ci aspettavamo una reazione più entusiastica da parte del pubblico francese, il che ha innescato per la prima volta in noi il germe del dubbio. Mai come in questi ultimi mesi ci siamo trovati a discutere su che direzione prendere in futuro e sull’opportunità o meno di ridurre addirittura il numero di componenti del nostro gruppo, passando dai sei attuali a cinque o forse addirittura a quattro, nel tentativo di creare una formazione più compatta e omogenea, e quindi più forte.» Una cosa è certa, assicura Pinsolle: il gruppo non intende cedere alle sirene della musica commerciale. «La delusione ci spingerà, semmai, verso lidi ancora più radicali in quanto a sound, senza concessioni alcune alla logica perversa della vendibilità, che, com’è noto, ti ruba l’anima.» Per il terzo album, ancora allo stato embroniale, Pinsolle annuncia infatti che il gruppo porterà avanti in maniera ancora più coerente le scelte stilistiche adottate per il secondo: porta sbarrata ai sintetizzatori e alle atmosfere elettroniche che, dagli Air a Justice fino ai Daft Punk, hanno fatto la fortuna di molte tra le più celebri band francesi degli ultimi venti anni, a vantaggio di un sound caldo e organico, ottenuto rigorosamente con i pochi strumenti della tradizione rock: chitarra, batteria, basso e voce. «Vogliamo che la musica registrata in studio sia una traduzione quanto mai fedele di quella che creiamo sul palco. Per ottenere gli effetti migliori, non di rado trasferiamo dei suoni sul vinile, per poi rimasterizzarli in digitale. Dopo così tanti anni di stradomimio dell’elettronica sul panorama musicale francese, credo che oggi ci sia una forte esigenza di suoni autentici, genuini, “asciutti”, che giungono all’orecchio nella loro essenza, senza mediazione alcuna». Un ruolo ancora più centrale che in passato ricopriranno, si augura Pinsolle, i testi delle canzoni. «Credo ci sia un gran bisogno di tornare a testi intelligenti, ricchi di immagini forti, coraggiosi, come quelli delle canzoni di Brassens e Gainsbour. La musica, come ogni forma d’arte, deforma necessariamente la realtà, ma con una scelta opportuna dei testi si potrebbe almeno ottenere di non negarla del tutto. O quanto mento di cercare di non edulcorarla, rinunciando a non vedere ciò che più di scomodo vi è contenuto, come la musica commerciale di MTV o Radio FM ci ha assuefatto a fare. Scrivere delle ninnananne non è in agenda».
Pubblicato su L’uomo Vogue, Novembre 2014