«Dal 2000 in poi, il traffico internazionale illegale di avorio ha conosciuto una crescita inarrestabile», denuncia Tom Milliken di Traffic, l’osservatorio internazionale sul commercio di flora e fauna selvatica, che parla in particolare del 2013 come di un annus horribilis per gli elefanti africani. «Sono state sequestrate 41,6 tonnellate di avorio, il record degli ultimi 25 anni. È in corso un genocidio silenzioso». Secondo i dati messi a disposizione dalla UE – che lo scorso 10 Aprile ha indetto a Bruxelles una conferenza dedicata al bracconaggio e al traffico illegale di animali – il numero di pachidermi uccisi illegalmente in Africa è raddoppiato nel corso degli ultimi dieci anni: col risultato che se solo nel 1980 se ne contavano attorno ai 1,2 milioni di esemplari, oggi ne rimangono solo 500 000. «Negli anni, il traffico di avorio ha preso gradualmente la forma di un business multimiliardario nelle mani del crimine organizzato internazionale, non dissimile per estensione della rete al traffico di droga, armi, merci contraffatte e prostituzione», rivela Peter Seligman, CEO di Conservation international. «In Africa, è il principale sostentamento di numerose associazioni terroristiche, come l’ala somala di Al-Qaida “Al-Shabab”; in Cina, analogamente, è la mafia locale a gestirne la distribuzione sia sul mercato interno, sia verso il resto dell’Asia ed il mercato Americano.» Eppure, in questo tetro quadro, gli ultimi mesi hanno fatto registrare anche importanti, positive novità. Lo scorso febbraio, gli Stati Uniti hanno annunciato l’introduzione imminente di un divieto di commercio dell’avorio anche sul mercato interno (fino ad ora erano proibite solo le importazioni): un durissimo colpo per i trafficanti, che presto dovranno fare i conti con una simile legge anche in Tailandia, centro nevralgico per la lavorazione di questo materiale, secondo solo alla Cina. Lascia ben sperare anche l’importante accordo siglato lo scorso 3 dicembre in Botswana dai delegati dei principali Paesi coinvolti nel commercio dell’avorio, che, definendo per la prima volta il traffico di specie protette un “grave crimine”, apre la strada a livello giuridico ad una cooperazione internazionale più efficace, compresa la confisca e l’estradizione, come già avviene per gli stupefacenti. I primi mesi dell’anno hanno visto infine numerosi paesi, tra cui la Francia, il Belgio e Hong Kong, inscenare sulle pubbliche piazze dei suggestivi roghi di avorio confiscato, volti a sensibilizzare l’opinione pubblica. Un primo, imponente “rogo d’avorio” è avvenuto in marzo persino in Cina: un gesto ad alto impatto mediatico, salutato come “storico” dagli ambientalisti, tutt’altro che meramente simbolico in un paese che considera l’avorio come materiale irrinunciabile della propria tradizione artigiana, e dove due intervistati su tre credono che le zanne d’elefante ricrescano, magicamente, come le unghie di una mano.
Pubblicato su Vogue Italia, Luglio 2014
Un bianco e nero pittorico, dai tratti epici, contraddistingue gli scatti di Nick Brandt, autore di “Across the ravaged land”, il terzo volume di un’imponente trilogia fotografica dedicata alla fauna selvatica minacciata della Savana.




La carriera di Nick Brand inizia come regista di video musicali per artisti del calibro di Moby e Michael Jackson, per il quale realizza alcuni dei suoi video più noti, come “Stranger in Moskow”, “Cry” e “Earth Song”. Nel 1995, durante le riprese di quest’ultimo video, in Tanzania, Brand, colpito da una sorta di fulminazione sulla Via di Damasco, matura quella passione per gli animali selvaggi della Savana Africana che poi negli anni successivi faranno da soggetto ai suoi più celebri scatti. “Trovavo frustrante”, racconta, “che attraverso lo strumento del video non riuscissi a trasmettere le emozioni dei miei incontri con gli animali. Fu così che optai per la fotografia”. Nel 2001 concepisce il suo progetto più ambizioso: una trilogia di volumi fotografici, con la quale creare un monumento alla fauna africana minacciata. Nel 2005 pubblica “On this Earth”, nel 2009 “A shadow falls” e, l’anno successivo, un terzo volume che raccoglie una selezione di immagini dei primi due. «Pochi fotografi hanno considerato la fotografia di animali selvaggi come una forma d’arte», spiega. «Ho sempre considerato questo come un’opportunità sprecata: Più che la spettacolarità degli animali in azione, il singolo momento drammatico, mi interessava coglierli semplicemente nel loro stato di essere». Sempre nel 2009, fonda “Big Life Foundation”, un’organizzazione non-profit che lavora per contrastare il crescente fenomeno del bracconaggio in Africa e per la protezione degli ecosistemi, «senza la quale», conclude il fotografo, «ogni politica di conservazione è destinata a fallire». Il terzo ed ultimo volume della trilogia, “Across the ravaged land”, è uscito nel 2013. Oggi Nick Brandt è uno degli artisti-fotografi più richiesti al mondo. I suoi scatti vengono battuti a prezzi da record alle principali aste d’arte, come Christie’s e Sotheby’s e, nel 2011, il museo della Fotografia di Stoccolma Fotografiska ha dedicato al suo lavoro un’imponente mostra monografica.
È bellezza che lascia l’amaro in bocca quella in esposizione al MACRI, il primo museo tematico in Europa dedicato al crimine ambientale, inaugurato lo scorso febbraio all’interno del Bioparco di Roma. In circa 400 mq di superficie espositiva, si possono ammirare i tesori del contrabbando di specie protette: preziosi monili in avorio grezzo e lavorato, ma anche oggetti sequestrati realizzati realizzati con parti di animali protetti, come certe specie di conchiglie, carapaci di tartarughe, pelli, coralli, tra cui una collezione di farmaci della medicina tradizionale cinese. Molto interessante, in particolare, la sezione dedicata agli strumenti e alle tecniche di indagine utilizzate dalle forze dell’ordine per contrastare questo lucroso mercato nero. «L’avorio», spiega spiega Federico Coccìa, il presidente della Fondazione Bioparco di Roma a cui fa capo il MACRI, «viene importato e venduto illegalmente tentando solitamente di confonderlo con avorio di Mammuth; oppure spacciandolo per “antico”, o comunque antecedente alla Convenzione Internazionale di Washington (CITES) che regola il commercio delle specie protette». «Il suo commercio è estramemente lucrativo: se in Africa per acquistarne un chilo grezzo si spende dai 30 agli 80€, sulle piazze del lusso europee il prezzo dell’avorio lavorato si aggira oggi tra i 2000€ e i 4000€»