Centomila volte più sottili di un foglio di carta o di un capello, i “nanomateriali ingegnerizzati”, considerati ormai la frontiera più promettente della fisica dei materiali, continuano a far parlare di sè: risale a pochi mesi fa l’annuncio del (NTU) di Singapore della scoperta di un nano-composto in grado di ricavare acqua potabile dall’acqua del mare, e di produrre al contempo idrogeno. Nello stesso periodo, i ricercatori dell’Università Milano-Bicocca hanno annunciato di aver messo a punto dei vetri intelligenti arricchiti in nanoparticelle in grado di catturare la luce solare, con cui sarà possibile trasformare qualsiasi elemento trasparente di un edificio in un concentratore solare. Non più solo i tetti dunque, ma anche finestre e facciate potranno in futuro essere sfruttati per la produzione di energia pulita. “I nanomateriali sono nella regola composti ben noti, come l’ossido di titanio, sintetizzati – questa la novità – in formato “nano”, ovvero in particelle estremamente piccole, di dimensioni comprese tra 1 e 100 miliardesimi di metro”, spiega Valeria Sodano del Dipartimento di Agraria dell’Università Federico II di Napoli1. “A questa scala, i materiali manifestano nuove proprietà, dette quantum effects, non esibite da sostanze identiche di dimensioni maggiori.” L’oro, ad esempio, materiale inerte per eccellenza nella forma di un lingotto o di una fede nuziale, si trasforma in un portento di reattività chimica se preparato come nanomateriale, tingendosi di rosso o blu acceso a seconda delle dimensioni delle particelle. “Vi è un rovescio della medaglia”, avverte la studiosa. “Il rilascio di nanoparticelle nell’ambiente può mettere a rischio la salute umana e degli ecosistemi: grazie alla loro straordinaria reattività, Il comportamento biologico delle nanoparticelle è infatti fondamentalmente diverso da quello delle particelle di dimensioni maggiori, il che rende difficile prevedere il loro impatto sui sistemi biologici”. Piccole ed ineffabili, le nanoparticelle passano infatti indisturbate attraverso quelle membrane cellulari che il corpo utilizza per difendersi da molecole estranee, accumulandosi negli organi, cervello incluso, riuscendo addirittura a sfuggire al radar del sistema immunitario. Se la nanotossicologia cammina, nanoscienze e nanotecnologie galoppano A dispetto di questi rischi, le nanotecnologie trovano da anni innumerevoli applicazioni persino in campo agroalimentare, lungo tutta la filiera del cibo: dal campo, dove già oggi l’agrobusiness fa largo uso di nanoemulsioni e nanocapsule di pesticidi per migliorarne l’idrosolubilità ed il rilascio direttamente in situ, fino al piatto, dove i nanomateriali approdano nella veste di additivi impiegati per migliorare le caratteristiche organolettiche del cibo (ad esempio il colore o la testura nei prodotti low-fat). Con esiti sempre più degni di un romanzo di fantascienza: come il pane Tip Top-up della compagnia australiana George Weston Foods, arricchito con olio di tonno contenuto in nanocapsule che ne mascherano odore e sapore. L’attesa dicitura «nano», tra parentesi, dopo il nome dell’ingrediente, approderà in Europa il 13 Dicembre, quando entrerà in vigore il nuovo regolamento dell’unione sull’etichettatura obbligatoria degli alimenti. “Non basterà”, denuncia l’associazione. “L’industria alimentare si sta già attrezzando con nano-addittivi di dimensioni leggermente superiori ai 100nm, così da aggirare l’obbligo di trasparenza”.
Pubblicato su Vogue Italia, Luglio 2014
Photo credit: courtesy of Prof. Michael Olivieri