Testo raccolto da un’intervista con Rose Callahan, co-autrice insieme a Nathaniel Adams del libro “I am dandy – The return of the elegant gentleman”. Fotografa e regista newyorkese, Callahan è autrice dei blog “dandyportraits.blogspot.it” e “rosecallahan” e ama ritrarre luoghi e personaggi “fuori dal comune”. Ha anche una casa di produzione, la Rarebit Productions (rarebitproductions.tumblr.com).
“Nel raccogliere materiale per il libro “I am dandy – The return of the elegant gentleman”, io ed il mio collega Nathaniel Adams ci siamo rapidamente resi conto che questi uomini elegantissimi costituiscono un insieme talmente eterogeneo da rendere vano ogni tentativo di suddividerli in gruppi o categorie, come “dandy vintage”, o “dandy vittoriani”. L’eleganza per il dandy non è infatti mai fine a se stessa, ma viene vissuta come un vero e proprio “strumento di resistenza” contro il conformismo dilagante, con cui segnalare al mondo la propria irripetibile “unicità”. Egli si percepisce come un “guerriero solitario”, determinato a dare dell’eleganza una propria, personalissima definizione: non ammetterà mai di essere espressione di una “subcultura”, né tanto meno di appartenere ad un “gruppo”, pur di non veder mortificata la propria eccezionalità da una volgare etichetta. Paradossalmente, persino quella di “dandy” risulta loro ingombrante, se non addirittura sgradita, come ho potuto constatare di persona con i protagonisti del mio libro. Ho deciso comunque di utilizzarla nel titolo perché veicola, come nessun’altra, l’idea di uomini eccezionali, animati dal desiderio di distinguersi dalla massa non solo attraverso un preciso modo di vestirsi, ma anche abbracciando uno stile di vita genuinamente eccentrico, specchio di una personalità fuori dal comune. Sarebbe impensabile infatti ambire ad essere dandy oggi in assenza di una forte personalità: viviamo in un’epoca casual, dove chiunque può combinare pezzi classici a capi sportivi o di lavoro senza dare troppo nell’occhio, e dove “distinguersi con gli abiti” è certamente più arduo che in passato, quando ogni minima rottura del codice bastava a creare scandalo e ad attirare su di sé l’attenzione. Al contempo la nostra epoca offre agli aspiranti damerini un’arma molto potente: l’uso delle nuove tecnologie. La diffusione dei social network ha sicuramente funto da incentivo ad abbracciare uno stile di vita dandy, soprattutto tra i più giovani : se un tempo camminando per la strada in abiti eccentrici potevi sperare al massimo di impressionare i tuoi vicini di quartiere, oggi basta un selfie o lo scatto di un fotografo per raggiungere attraverso il web un bacino di migliaia, se non di milioni di persone: come Nick Wooster, un buyer per grandi magazzini che solo dieci anni fa sarebbe passato largamente inosservato, e che oggi, grazie all’attenzione dei fashion blogger, è considerato un’icona di stile di fama internazionale. A questo si aggiunga che, al tempo della globalizzazione, il fenomeno del dandismo si arricchisce di sfumature “fusion”, molto interessanti. Basti pensare all’illustratore newyorchese Fjodor Pavlov, noto per attingere sia al guardaroba classico che alla tradizione sartoriale della Russia bizantina, o all’architetto londinese Barima Owusu-Nyanteki, che non esita a rendere omaggio alle sue origini ghanesi sfoggiando insoliti ferma-cravatta raffiguranti il copricapo dei guerrieri Ashanti. Chi aveva già sepolto il dandismo come una anacronistica forma di nostalgia dei salotti vittoriani, destinata ad estinguersi a breve, farebbe bene a ricredersi: attingendo nuova linfa dalla contemporaneità, l’“elegant gentleman” fa prepotentemente ritorno tra le nuove generazioni tecnologizzate, facendosi interprete di nuove forme di eleganza mai viste in passato. Un esempio per tutti, Tony Sylvester, il front-man della band norvegese Turbonegro, noto per sfoggiare, con invidiabile disinvoltura, giacche militari in combinazione con la cravatta o il papillon, senza mai scadere nel ridicolo”.
Pubblicato su L’Uomo Vogue, Luglio-Agosto 2014