Edifici “viventi” tra ecologia e bioclima. Nel 2008 è stato inserito da The Guardian tra le “50 persone che potrebbero salvare il Pianeta”
È considerato uno dei padri fondatori dell’architettura sostenibile ed in particolare, del “vertical green urbanism”, la disciplina specializzata nella costruzione di grattacieli a basso impatto ambientale, sia sotto il profilo estetico che quello del consumo delle risorse. Nel suo libro “Designing with Nature”, pubblicato nel 1995, considerato oggi una “Bibbia” dagli eco-architetti di mezzo mondo, l’architetto malese Ken Yeang – inserito nel 2008 dal The Guardian nella lista delle “50 persone che potrebbero salvare il pianeta” – è tra i primi a teorizzare la necessità di un nuovo modo di costruire, in grado di ripristinare l’equilibrio perduto tra i grandi centri urbani della modernità e la Natura. Rifuggendo l’estetica “inorganica”, sintetica ed artificiale degli edifici convenzionali, i “grattacieli verdi” progettati dal suo studio “Hamzah and Yeang”, con sede a Kuala Lumpur, sono concepiti per fondersi senza soluzione di continuità con l’ambiente circostante: basti pensare al grattacielo “Solaris” di Singapore, noto per il suo “parco lineare” – una striscia di verde lunga un chilometro e mezzo che si avvolge come un serpente per tutta l’altezza dell’edificio –, o alla “Spire edge tower”, un altro grattacielo attualmente in costruzione a Haryana, in India, interamente invaso dal verde, dalle pareti alle rampe di scale, su su fino ad una serie di giardini pensili a coronamento dei piani alti. Sarebbe riduttivo tuttavia considerare la vegetazione nei suoi progetti alla stregua di un intervento meramente cosmetico, ornamentale: «Il nostro obiettivo non è costruire semplici edifici, ma veri e propri “eco-sistemi” in equilibrio con l’ambiente circostante. Le varie specie vegetali che utilizziamo sono tutte rigorosamente locali e studiate per raggiungere precisi obiettivi in termini di protezione della biodiversità, come ad esempio il ritorno in città di certe specie di uccelli scomparsi da tempo», spiega Yeang, che non a caso si considera “un ecologista appassionato di architettura”, più che un architetto. «Prima di disegnare l’edificio, partiamo col creare gli “ecosistemi” che vogliamo esso contenga nella sua struttura. Successivamente intraprendiamo una fase di ricerca per capire quale fauna e flora locale potrebbe beneficiare di questi spazi. Il risultato è una matrice di calcolo che, durante la fase di progettazione, ci consente di non perdere mai di vista i vari obiettivi legati al sostegno alla biodiversità che ci siamo posti, e di stabilire le giuste condizioni perché tutti questi diversi habitat sopravvivano nel tempo». L’altro grande pilastro sui cui poggia la filosofia di Yeang è l’architettura bioclimatica: la forma e le varie componenti della costruzione sono studiati cioè per rispondere in maniera ottimale agli input ambientali, così da minimizzare il consumo di energia e risorse”. Nella “Roof-Roof’ House” (il suo primo edificio bioclimatico a Kuala Lumpur, nel quale tutt’oggi risiede), ad esempio, concepisce un sistema a due tetti, curvati in maniera tale da consentire solo il passaggio dei tiepidi raggi del sole del mattino, ma non di quelli delle ore più calde, e di dirigere i venti in maniera tale da favorire un auto-raffreddamento dell’edificio, così da ridurre il bisogno di inquinanti climatizzatori. «Va da sé che un’architettura come la nostra, che punta a realizzare edifici “viventi” in equilibrio bioclimatico con la natura circostante, ha per definizione un carattere regionale», sottolinea Yeang. «Un “ecosistema costruito dall’Uomo” non infatti può che essere un riflesso dell’ambiente naturale nel quale è immerso. Già 1°C o 2°C di differenza nelle temperature medie possono fare una differenza enorme, e richiedere soluzioni architettoniche molto diverse tra di loro».
Pubblicato su L’Uomo Vogue, Aprile 2014