Products, health, water: Interview with designer Yves Béhar. Quando il “Buon Design” può cambiare il mondo.

«Non ho il minimo dubbio che nei prossimi vent’anni ogni industria, ed ogni realtà produttiva in generale, dovrà confrontarsi con il tema della sostenibilità e ripensare, più o meno radicalmente, il proprio modello di business. Non solo perché sarà sempre più difficile ignorare il problema senza pagare un importante scotto in termini di immagine, ma anche perché la via della sostenibilità si avvia ad essere anche la più economica e la più efficiente in termini di consumo di risorse.» Parole, speriamo profetiche, di uno dei  principali ambasciatori della sostenibilità nel settore del design industriale: Yves Béhar, fondatore della multipremiata agenzia di design Fuseproject, con sede a San Francisco, ed una delle più richieste “design stars” del momento. Nato a Losanna nel 1967 da padre turco e madre originaria della Germania dell’Est, negli anni Béhar ha progettato decine di prodotti nei settori più disparati (dalla tecnologia ai mobili d’ufficio, passando per lo sport, il lifestyle e la moda), tutti accomunati, nella loro straordinaria varietà,  da un approccio “umanistico”  declinato, di volta in volta, in attenzione per l’ambiente, ascolto dei bisogni emozionali dell’individuo e democratizzazione del design. Vincitore di oltre 150 premi e riconoscimenti internazionali (tra cui il titolo di “Designer of the Year” nel 2011 ai  “Conde Nast Innovation and Design Awards”), il designer-imprenditore ha al suo attivo innumerevoli collaborazioni eccellenti a progetti di riduzione dell’impatto ambientale dei processi produttivi (del calibro di Coca Cola, General Electric e Prada), e si dichiara convinto che la “svolta verde” della grande industria manifatturiera sia vicina.  «Se solo fino a due-tre anni fa la sostenibilità era il valore aggiunto di prodotti incubati quasi esclusivamente all’interno di piccole start-up, oggi assisto ad un crescente interesse per questa tematica da parte di colossi internazionali», racconta, portando l’esempio della “Clever Little Bag”, una scatola per scarpe ecologica, commissionatagli nel 2010 da Puma, che può vantare un consumo di materiali e energia inferiore del 60% rispetto alle confezioni per calzature convenzionali. «Se si tiene conto che Puma commercia ogni anno 80 milioni di paia di scarpe, si capisce immediatamente che il contributo che il green design potrebbe dare alla causa ambientale, se fosse applicato su larga scala, è enorme. E ancora largamente inesplorato». Nel 2012 è la volta di  “Source”, un gasatore domestico per acqua e bibite, che Béhar disegna per Sodastream. «Ogni anno, una famiglia inglese consuma in media 550 bottiglie di plastica, negli Stati Uniti sono circa 1200: grazie a questo prodotto, per molte famiglie tale numero scenderà a zero. Questo esempio dimostra come, più di mille prediche ecologiste, una buona idea di design può indurre milioni di persone ad abbandonare un’abitudine terribilmente inquinante, e sostituirla con una virtuosa.» Da questo progetto commerciale ne è scaturito recentemente un altro che porta avanti un’idea simile, ma in chiave non-profit: «Dallo scorso anno collaboro con un’associazione senza fini di lucro, la “Whole World Water” (WWW), che promuove l’utilizzo di acqua filtrata in situ negli hotel, così da limitare il consumo di quella in bottiglia. Anche in questo caso, il design svolge un ruolo centrale: l’idea è quella di creare un vero e proprio “brand di acqua potabile sostenibile” associato al settore alberghiero e al viaggio in generale, con cui non solo ridurre l’inquinamento, ma anche finanziare innumerevoli progetti di potabilizzazione dell’acqua nel mondo. Chissà, potrebbe diventare addirittura un vero e proprio movimento». Unico designer ad essersi aggiudicato ben due volte l’ambito “Index award”, il più importante (e cospicuo) concorso di design “sociale” del mondo, Béhar non è del resto nuovo a collaborazioni con non-profit e fondazioni: nel 2007 fonda l’ONG “One Laptop for a Child” (OLPC), per la quale realizza “$100 XO laptop”, il primo computer “low cost”, con cui oggi ben 3 milioni di bambini nei paesi più poveri hanno accesso all’informatizzazione; nel 2011 è invece la volta della sua collaborazione con l’ONG messicana “See Better to Learn Better”, per la quale progetta dei coloratissimi occhiali a basso costo per i bambini messicani, pensati per la distribuzione gratuita. «Credo da sempre che il buon design debba essere al servizio di tutti, e che sia possibile apportare qualità, integrità e intelligenza ad un prodotto un po’ in tutte le fasce di prezzo, anche le più basse» . Sempre all’interno del progetto OLPC, Béhar nei mesi scorsi ha presentato i primi tablet “low cost”, da 7.5” e da 10,5”. Costo: 150$. Da una sua recente collaborazione con la  Bill and Melinda Gates foundation nasce invece “Kernel”, un collare collegato alla rete del cellulare, grazie al quale i medici dei paesi in via di sviluppo potranno effettuare diagnosi e curare pazienti affetti da malaria ed altre malattie endemiche anche a distanza, eliminando così l’esigenza di faticosi (e spesso impossibili) viaggi. «Accanto alla sostenibilità, quella della salute è la più grande sfida che attende l’umanità, nei paesi ricchi come in quelli poveri. Noi designer possiamo fare la differenza, e dobbiamo prepararci ad affrontarla.»

Pubblicato su L’Uomo Vogue, Aprile 2014

Photo Credit: Shayne Levardière

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