«Capita che a volte gli Australiani vengano accomunati agli Americani. I miei romanzi dimostrano come questo accostamento non potrebbe essere più malfondato. Gli americani sono inguaribili ottimisti: loro “vanno ad Ovest” e ci trovano ricchezza e gloria. In Australia se vai ad Ovest finisce che ti perdi e muori. Noi, a differenza loro, non crediamo nel successo». Il fallimento e la perdita sono i tipici ingredienti dei libri di Peter Carey, considerato universalmente il più grande scrittore Australiano vivente. Autore prolifico (dal 1974 ha pubblicato due raccolte di racconti, nove romanzi, un libro per l’infanzia e numerosi saggi brevi), è uno dei pochi scrittori al mondo che può vantare di aver vinto ben due volte il Man Booker Prize: nel 1988, con “Oscar e Lucinda”, la storia di due disadattati e perdenti senza possibilità di redenzione, ambientata in epoca vittoriana; e di nuovo nel 2000, con “La ballata di Ned Kelly”, un’autobiografia immaginaria del celebre bandito australiano. «La storia dell’Australia rappresenta indubbiamente una forza dominante nel mio lavoro. In questo romanzo ho raccontato la storia del nostro più grande eroe nazionale. E cioè un fuorilegge, bandito e assassino. Un uomo condannato a morte per impiccagione, a soli ventisei anni, per avere ucciso tre poliziotti. In quale altro paese gli eroi hanno queste caratteristiche? Sarebbe un grave errore di valutazione credere che il nostro passato di ex-colonia penale non eserciti ancora oggi, nel 2014, un’influenza molto forte sul nostro popolo.» Al rapporto tra Australia e Stati Uniti, paese dove risiede dal 1990, sarà consacrata la nuova fatica di Carey, “Amnesia”, che egli ha finito di scrivere neanche un mese fa. «È il libro nel quale mi sono deciso a raccontare il complicato, e spesso doloroso, matrimonio tra il mio paese natale e quello adottivo. Il protagonista è un personaggio che i miei primi lettori, amici e familiari, hanno trovato molto buffo: un giornalista un po’ sfigato, che ha difficoltà a farsi credere dai suoi lettori. Eppure nel corso del romanzo riuscirà ad entrare in possesso di informazioni molto riservate, e a penetrare nella sfera intima di alcuni personaggi di potere, dimostrando di essere un vero professionista. Nella maniera “coraggiosamente codarda” che lo contraddistingue, ovviamente». «Quando ho iniziato a scriverlo, quasi due anni fa, non avrei scommesso un centesimo sul fatto che la gente avrebbe creduto una parola delle vicende – di scottante attualità – che racconto nel romanzo. Grazie ad Edward Snowden, tutto adesso è cambiato: non penso che avrò problemi a suscitare interesse, o ad essere creduto in America. O meglio, da quella fetta della popolazione statunitense che, nell’apprendere dai giornali quello che il governo ha fatto in loro nome, ha provato un sentimento di rabbia e delusione».
Pubblicato in versione ridotta su L’Uomo Vogue, Marzo 2014
Photo credit: Ashley Gilbertson