Se da tempo sappiamo che ciò che decidiamo ogni giorno di mangiare ha delle conseguenze sulla nostra salute, non è da molto che gli esperti riconoscono ufficialmente l’influenza del cibo, e di come esso è prodotto, sulla salute ambientale. Quali sono gli alimenti di una dieta sana e sostenibile lo raccontano gli esperti internazionali e, in modo semplice e intuitivo, il modello nutrizionale della Doppia Piramide, diffuso dal BCFN (Barilla Centre for Food and Nutrition).
Nel 2008, alla domanda su cosa facesse nel quotidiano per ridurre la propria impronta ecologica, il Dr. Rajendra Pachauri, direttore dell’IPCC, il pannello delle nazioni unite per la scienza del clima, rispose: “Cerco di mangiare meno carne. È un alimento molto inquinante sotto il profilo del cambiamento climatico, a cui sono associate grandi quantità di emissioni di gas serra. Mangiatene meno!”. Lo scienziato, considerato uno dei più grandi esperti al mondo di cambiamento climatico, non menzionò la necessità di limitare il numero di viaggi in auto o in aereo, o di sostituire lampadine ed elettrodomestici di casa con analoghe a basso consumo energetico. Con stupore di molti, parlò di cibo. “Gli studi in nostro possesso”, proseguì, “mostrano che le persone desiderose di dare il proprio personale contributo alla lotta al cambiamento climatico concentrano solitamente gli sforzi per ridurre le proprie emissioni nel settore dei trasporti, ignorando spesso che cambiando opportunamente le abitudini alimentari potrebbero ridurre le proprie emissioni in maniera ancora più significativa.” Sebbene le questioni climatiche siano da molti anni al centro del dibattito politico e mediatico mondiale, il rapporto tra cibo e ambiente, ed in particolare quello tra cibo e clima è rimasto a lungo ai margini della discussione, al punto che, solo 5 anni fa, le parole del Dr. Pachauri, scontate oggi per molti di noi, seppero guadagnarsi un immenso interesse mediatico, finendo l’indomani sui giornali di mezzo mondo. Oggi, grazie a numerosi studi sull’argomento, sappiamo con certezza che la dieta all’occidentale, ricca di carne, latticini e grassi di origine animale, con preponderanza di alimenti iperprocessati, ricchi di zuccheri e poco nutrienti (e da alcuni anni pericolosamente “di moda” anche nei grandi paesi in via di sviluppo, come India e Cina, dove l’ascesa del ceto medio si accompagna gradualmente all’abbandono della frugale ma sana dieta tradizionale, basata su riso e vegetali) costituisce un vero e proprio flagello per il clima: il solo settore zootecnico è responsabile secondo la FAO del 18% delle emissioni del pianeta, producendo più inquinamento dei trasporti, per non parlare dei devastanti effetti sugli ecosistemi, essendo una delle principali cause di degrado del suolo e delle risorse idriche. Come a più riprese ha ricordato Paul Mc Cartney, promotore dell’iniziativa “meat-free monday” (“lunedì senza carne”), moderare il consumo di queste categorie di alimenti costituisce dunque non solo un atto d’amor proprio, con benefici comprovati sulla stato generale di salute e sulle aspettative di vita, ma anche una sorta di dovere morale per chiunque abbia una coscienza ambientale. Per dirla con le parole di Michael Pollan, autore del libro “Il dilemma dell’onnivoro”, “Eating is a political act”, quello che mettiamo sul piatto è un atto politico: a partire dalle scelte alimentari individuali del nostro quotidiano, ognuno di noi può incidere in maniera positiva o negativa , non solo sulla propria salute, ma anche sull’ambiente. Questo, in sintesi, è il messaggio di cui si fa portatrice anche la cosiddetta “ Doppia Piramide Alimentare e Ambientale”, un modello grafico proposto per la prima volta dal Barilla Center for Food & Nutrition nel giugno 2010 (e giunto ormai alla quarta edizione), ottenuto mettendo a confronto decine di studi scientifici internazionali dedicati all’argomento. Con l’immediatezza grafica di una doppia piramide rovesciata, essa ci ricorda che sussiste un legame molto stretto tra alimentazione sana e alimentazione sostenibile: basti pensare che un regime alimentare bilanciato e corretto come quello Mediterraneo, a base di pasta e altri cereali, verdure, frutta e olio di oliva, che contribuisce com’è noto alla salute e al benessere, provoca un impatto ambientale del 60% inferiore rispetto a un’alimentazione di tipo nordamericano, a base di carni e grassi animali assai più che di vegetali e cereali. Che la salute degli esseri umani sia legata a doppio filo con quella degli ecosistemi, e che le categorie di alimenti che più risultano benefiche per la salute, siano anche quelle che hanno un minor impatto sull’ambiente, non dovrebbe stupire più di tanto: l’attuale epidemia di malattie croniche legate ad una dieta scorretta (tumori, disturbi del sistema cardio-respiratorio, diabete) e le cosiddette “malattie del pianeta”, come il riscaldamento climatico, la scomparsa dei pesci dal mare e l’avvelenamento delle acque e della terra, hanno infatti un comune denominatore: la diffusione, soprattutto a partire dagli anni Cinquanta, di metodi produttivi del cibo, ed in particolare della carne, ad alto tasso di industrializzazione, seguiti a ruota dall’adozione da parte delle masse di regimi alimentari non sostenibili, eccessivamente ricchi di proteine animali e prodotti processati. «Devo al Cinema se sono diventata la food activist che sono», mi ha rivelato un giorno la chef ed attivista californiana Alice Waters, vice presidente di Slow Food international, durante un’intervista. «Alcuni film indimenticabili degli anni ’30 come “Nostro Pane quotidiano” di King Vidor, o “$ 1000 – a touchdown”, di James P Hogan, hanno il merito di avermi aperto gli occhi sulle contraddizioni della realtà alimentare americana, proiettandomi in un’America rurale d’altri tempi, dove affondavano le radici della nostra gastronomia, un tempo non lontano ricca di sani cereali, verdura e frutta fresca di stagione, e meno incentrata sul consumo di carne ed alimenti processati, ed a riflettere sul suo inesorabile declino. “Cosa ci è successo?”, mi sono chiesta un giorno. “Come abbiamo potuto smarrirci così?”. Chi s’illudesse che in Italia, considerata la patria della dieta Mediterranea, la situazione sia tanto più rosea, si sbaglia. Il Prof Antonino De Lorenzo, uno dei più importanti studiosi di nutrizione e di dieta mediterranea, direttore della scuola di specializzazione in Scienza dell’Alimentazione all’università di Roma Tor Vergata, ha dichiarato recentemente:“La dieta mediterranea, ossia la dieta più celebrata al mondo, dichiarata addirittura “Patrimonio immateriale dell’umanità” dall’UNESCO e universalmente riconosciuta come il regime ottimale per favorire la salute, nessuno sa più in realtà cosa sia. Tantomeno nel nostro paese, dato che è praticata appena dal 10% degli italiani”. Se la dieta Mediterranea, quella vera promossa dalla doppia Piramide, si rivela dunque essenzialmente una sconosciuta per il 90% dei nostri connazionali, la sfida della salute e della sostenibilità a tavola, tradotta nel quotidiano, equivale innanzitutto ad intraprendere un avvincente ed appagante percorso di ritorno alle origini gastronomiche della nostra tradizione, ed in particolare alla riscoperta di quella gustosissima cucina mediterranea “povera” tipica delle nostre campagne, che non ha mai infatti avuto una codifica sistematica e che non compare nei “testi sacri” della cucina italiana (salvo qualche accenno laddove convive con la sua parente nobile, la cucina tipica regionale). I piatti in cui ci si imbatte, acquistando uno dei tanti bei ricettari dedicati all’argomento, o meglio ancora andando a caccia di ricette direttamente tra i ricordi d’infanzia dei nostri anziani, sono infatti, a dispetto della loro frugalità, traduzioni gastronomiche perfette dei principi della Doppia Piramide. Piatti cioè che seguono naturalmente il ritmo delle stagioni, basate su sani ed ecologici ingredienti reperibili nel territorio, come la “minestra di grano saraceno e castagne”, “pasta con fagioli”, “pasta con ceci” e “riso con piselli”, “orzo con speck, patate e fagioli” e via dicendo. Tutti piatti equilibrati e completi sotto il profilo nutrizionale, che danno energia senza appesantire, dove la carne è un ingrediente assente o, al massimo, previsto in piccole quantità per “insaporire”, che propongono in forma gustosa quel binomio “legumi-carboidrati” tanto caro ai nostri avi, che la scienza ci dice oggi può garantirci un apporto di aminoacidi ugualmente completo rispetto alle proteine animali, senza però impattare l’ambiente e per di più risparmiando. Senza voler idealizzare un passato contadino dove l’indigenza, quella davvero nera, portava spesso ad un’eccessiva monotonia della dieta rendendola tutt’altro che sana, soprattutto per quanto riguarda le fonti di carboidrati, (basti pensare alla diffusione della pellagra nella Val Padana causata da un consumo eccessivo di polenta), è indubbio che i lavoratori della terra, seguendo una dieta povera di carne, si assicuravano così un miglior stato di salute ed una vecchiaia più lunga dei ricchi, dei quali paradossalmente invidiavano le tavolate imbandite di carne di manzo e cacciagione (e che oggi sappiamo essere all’origine della “putredine reale”, ovvero di tumori. (così chiamati fin dal medioevo perché colpivano esclusivamente le famiglie reali e la ristretta cerchia degli aristocratici, gli unici a poter seguire un regime alimentare ricco di proteine animali.). Molte di queste povere ricette, nate in un mondo dove in pochi potevano concedersi il lusso di sprecare il cibo, ci forniscono per di più ottimi spunti per riciclare pane raffermo ed altri avanzi, come la pappa al pomodoro, la panzanella o le polpettine di pane e patate, aiutandoci a ricordare che la difesa dell’ambiente a tavola passa, non per ultimo, anche dalla limitazione degli sprechi alimentari : un’odiosa pratica che ci porta a gettare ogni anno nella pattumiera cibo per un valore di 15 miliardi di euro, a cui corrisponde il rilascio di ben 4 milioni di tonnellate di CO2, pari all’energia sufficiente ad alimentare i consumi energetici della popolazione italiana in un anno. A tal riguardo, si consiglia a tutti il bel testo Ottocentesco “L’arte di utilizzare gli avanzi della mensa” di Olindo Guerrini: un’ironica presa in giro del celebre ricettario “L’arte di mangiar bene” dell’Artusi, in cui l’autore propone una creativa serie di piatti a base di avanzi ed ingredienti poverissimi, che nell’attuale era dell’impasse climatica e del dilagare delle malattie croniche di origine alimentare è quanto mai urgente riscoprire, non fosse altro perché sono tutti immancabilmente molto gustosi.
Michele Fossi
Pubblicato su BCFN Magazine “Alimentazione e Ambiente. Stili alimentari sani per le persone e per il pianeta”, Ottobre 2013.
Photo credit: courtesy of Codice Edizioni.