“La diversità, se ci pensiamo bene, è all’origine di tutto. In qualità di regista, mi ossessiona più osservare gli effetti che sortisce in colui che la giudica, rispetto a chi la vive come condizione. Adoro la maniera con cui gli spiriti ottusi la stigmatizzano: la considero una crudeltà ben rappresentativa della società moderna, e conto di parlarne in tutti i miei prossimi film”. Con queste parole sicure, degne di un regista consumato, un giovanissimo Xavier Dolan, appena diciannovenne, spiegava in un’intervista ad un quotidiano francese nel 2009 la sua visione di cineasta. Era l’anno della consacrazione internazionale a Cannes con il film d’esordio: “Ho ucciso mia madre”, un dramma sentimentale da lui interpretato nel quale descrive un rapporto conflittuale tra una madre ed il figlio gay, il primo di una tripletta di film presentati ogni primavera al festival francese che gli sono valsi i favori della critica e del pubblico: nel 2010 è la volta de “Les amours imaginaires”, il duello senza quartiere tra un ragazzo ed una ragazza per conquistare le attenzioni amorose del bellone di turno, e, nel 2012, dell’acclamato “Laurence anyways”, la delicata vicenda di una coppia eterosessuale che sa reinventarsi anche dopo che uno dei due partner decide di cambiare sesso. Se è indubbio che la diversità, nella forma di sentimenti ed amori anticonvenzionali, è un ingrediente fisso di tutti e tre questi lavori, sarà soprattutto in “Tom à la ferme”, (film annunciato inizialmente nel programma di Cannes e “slittato” alla Mostra, si vocifera, per colpa di un ritardo nelle riprese) che il registra, mantenendo fede a quanto annunciato quattro anni fa, ci propone un’analisi attenta degli effetti della sua ostracizzazione sulla psiche umana. «Questo film marca una segno di discontinuità importante con i drammi sentimentali che ero solito realizzare in passato. Si tratta di un thriller psicologico ambientato nel Québec agricolo: un film pesante, denso e inquietante, che parla di violenza psicologica, in un chiaroscuro di verità e menzogna». Tratto da una pièce teatrale del drammaturgo canadese Michel Marc Bouchard, “Tom à la ferme” narra le vicende di un giovane pubblicitario che si reca in una località di campagna per prendere parte al funerale del partner morto prematuramente in un incidente, e, con sua sorpresa, scopre che nessuno ha idea di quale sia la vera natura del suo legame col defunto. «Costretto a mantenere il silenzio per salvare le apparenze della famiglia, Tom verrà coinvolto in un crescendo di violenze psicologiche che sfoceranno nella psicosi.» La mancata accettazione della diversità, e il goffo tentativo di annullarla, prende così gradualmente i contorni di una crudele follia collettiva, nella quale tutti, vittime e carnefici, sono ugualmente avviluppati: «Anche Tom, con suo stupore, scoprirà che le angherie subite gli procurano un certo piacere.» «Tom, come i protagonisti dii tutti i miei altri film, è omosessuale, ma vi prego, non incasellatemi tra i “registi gay”», conclude Dolan. «Anzi, non chiamatemi nemmeno regista: vorrei essere ricordato innanzi tutto un grande “narratore di storie”».
Pubblicato su L’Uomo Vogue, Settembre 2013
Photo credit: Shayne Laverdiere