Dispongono di congegni sofisticati che vanno dai sonar agli aerei da rilevamento, e di reti lunghe più di cento chilometri. Sono i grandi pescherecci di nuova generazione, capaci di pescare in un solo giorno l’equivalente pescato da 56 imbarcazioni di pescatori tradizionali in un intero anno. Eppure, a dispetto dei progressi della tecnica, i bottini sono sempre più magri: si stima che il pesce pescato nel mondo diminuisca del 2 per cento all’anno. «Decenni di pesca intensiva nelle acque europee», dice un rapporto di Ocean 2012, organizzazione non-profit impegnata da anni a difendere l’ambiente marino, «han-no portato a un preoccupante declino degli stock ittici che una volta vi prosperavano. Nel Mediterraneo, più della metà di quelli esaminati, sono risultati sovrasfruttati». Il pesce scarseggia, al punto che l’Europa (Italia inclusa, a dispetto di una secolare tradizione marinara), dipende da tempo per più della metà del suo fabbisogno di pesce dalle razzie dei grandi pescherecci nei mari esteri, soprattutto gli oceani del Sud del mondo. «Una silente forma di neocolonialismo del mare», accusa Bärbel Dieckmann, presidente dell’associazione umanitaria Welthungerhilfe, «che, oltre a sabotare il lavoro di milioni di piccoli pescatori che praticano ancora forme di pesca tradizionali e ben più sostenibili, attenta pericolosamente alla sovranità alimentare dei paesi più poveri: se in Italia il pesce copre infatti solo il 5 per cento del fabbisogno proteico, in Asia, secondo dati Fao, dalla sua disponibilità dipende la vita di un miliardo di persone». Cosa fare dunque? L’invito delle ong è quello di prediligere la qualità alla quantità, optando per il pesce fresco dei piccoli pescatori nostrani, meglio se appartenente alle cosiddette specie neglette, che costano anche meno e ben si prestano per preparare ottimi piatti. come spiega il sito dell’iniziativa Seafood watch, che fornisce, oltre a molti approfondimenti, un utile ricettario del pesce sostenibile. «Ma per alleviare il problema», taglia corto Dieckmann, «niente è più utile che mangiarne meno, non più di una volta a settimana: già due volte non è da considerarsi sostenibile». A decidere del futuro degli ecosistemi marini, tuttavia, saranno soprattutto le decisioni prese a livello intergovernativo. Il 2012 è un anno decisivo: a novembre gli stati membri dell’Unione Europea si riuniranno per esaminare l’imminente riforma della Politica comune della pesca (Cfp). Imporre vincoli stringenti alla pesca selvaggia non sarà facile: la proposta dell’eurodeputata Ulrike Rodust di trasformare in riserve marine il 10 per cento delle acque dell’EU, ha già ricevuto il no delle lobby del settore, molto influenti a Bruxelles. . «I nostri studi pubblicati su “Nature”», commenta l’ittologo Canadese Boris Worm, «hanno dimostrato che a distanza di pochi anni dall’istituzione di una riserva, le acque limitrofe tornano in genere a essere molto più pescose, con un aumento della pescosità del 400 per cento. Il genocidio del merluzzo atlantico, oggi quasi scomparso dalle acque canadesi, insegna che oltre un certo livello di sovrasfruttamento alcuni stock ittici non tornano, anche se ne viene bandita per decenni la pesca». Nell’attesa che la politica si risolva a proteggere il mare, ci pensa l’arte: il 29 Giugno a Talamone è stata inaugurata la “Casa dei pesci”, un’istallazione sottomarina con dissuasori in cemento armato e statue per proteggere i fondali dell’Argentario dalla pesca a strascico.
Publicato su Vogue Italia, Luglio 2012
Photo Credit Tim Walker (Casa Vogue 2009)