Fuori dall’ampia porta a vetri, un forte vento piega gli alberi ed increspa le acque solitamente placide dello Starnbergersee, il lago a Sud di Monaco dove Ludwig II trovò la morte in circostanze ancora misteriose il giorno dopo essere stato deposto per follia. «L’unica cosa che sappiamo della sua fine è che sia lui che il suo medico Bernhardt von Gudden, prima di avventurarsi nella loro ultima passeggiata, mangiarono la stessa zuppa al tavolo della cucina qui accanto. Ludwig soleva ripetere che desiderava rimanere un grande enigma per sé e per gli altri: c’è riuscito». A parlare, lo sguardo perso nelle acque grigie del lago, è un pronipote da parte di fratello del visionario e stravagante monarca bavarese: Sua altezza reale Principe Konstantin von Bayern, 25 anni, per gli amici più intimi “koko”, biondo e solare rampollo della famiglia Wittelsbacher, la dinastia che ha governato ininterrottamente la Baviera per quasi 800 anni fino al 1918. L’incontro con il giovane principe – l’ultimo dei quattro figli del principe Leopold von Bayern e nipote di Konstantin von Bayern, il principe scrittore morto in un incidente aereo nel 1969 – avviene nel salotto della residenza di famiglia a Berg am Starnbergersee, ad una ventina di minuti in auto a sud di Monaco, tra porcellane di Nymphenburg color rosa antico, antichi mobili ad intarsio e numerosi ritratti ad olio di principi e principesse von Bayern appesi alle pareti. «L’incidente, se incidente fu, avvenne nel 1886, cento anni prima della mia nascita». Eppur non è l’eccentrico monarca immortalato da Luchino Visconti, considerato universalmente la “star” della famiglia Wittelsbacher, che il giovane Konstantin annovera tra le sue figure di riferimento all’interno dell’albero genealogico familiare. «Ho trovato soprattutto in un prozio, deceduto quando avevo sette anni, un modello da seguire”, racconta. “Si chiamava Conte Albrecht von Bayern ed è l’uomo a cui devo, più di ogni altro, la mia grande passione per la caccia», racconta avvicinando una fotografia che lo ritrae bambino seduto sulle sue ginocchia. «Nonostante l’età avanzata, mi accompagnava per ore nei boschi attorno allo Starnbergersee, per tramandarmi tutti i suoi segreti». Ci vuole poco per capire che la caccia rappresenta, ancora oggi, una grande passione della famiglia Wittensbach. Cimeli venatori di famiglia completano un po’ ovunque l’arredo; mentre parla, la sua mano accarezza la pelle maculata di un leopardo disposto a mo’ di ornamento sullo schienale del divano, mentre i suoi piedi poggiano su una pelle di zebra disposta diagonalmente sul pavimento. «La passione per la caccia è genetica nella nostra famiglia. Potrei passare ore a raccontare gli aneddoti venatori che la famiglia si tramanda da secoli. Ve n’è uno particolarmente curioso, legato a queste due monete», racconta, staccando dalla parete una piccola cornice appesa dietro lo scrittoio contenente due vecchie monete di bronzo completamente deformate. «Nel 1890 il mio avo Principe Leopold von Bayern conobbe Buffalo Bill durante la sua visita all’Oktoberfest. Tra i due, entrambi celebri cacciatori, nacque spontaneo il desiderio di sfidarsi ad una gara di mira col fucile. Buffalo Bill lanciò in aria una moneta, prese la mira e la centrò in pieno al primo colpo. Invitò poi il principe Leopold a fare lo stesso. Con sua sorpresa e disappunto, riuscì anche lui nell’impresa.» Per ammirare i suoi trofei personali, mi invita a seguirlo nella sua stanza da letto, al terzo piano. Per accedervi, saliamo una scala a chiocciola accompagnati dagli sguardi distratti di decine di principi e principesse von Bayern irrigiditi nei lori abiti di rappresentanza, che, dal centro di cornici lavorate a foglia d’oro, non abbandonano mai il visitatore comunque si muova per le stanze del palazzo. «Quanti occhi di uomini e donne illustri continuamente puntati addosso, Principe. Non si finisce col rimanere schiacciati dal peso di un cognome così importante, almeno qui in Baviera?». «Non saprei, con questo cognome convivo dalla nascita, Le confesso che il rispetto che ancora oggi suscita, almeno in certi circoli, mi riempie di orgoglio. Non le nascondo tuttavia che ad esso è legato anche un peso: il dubbio che il titolo di principe possa attirare l’attenzione di falsi amici e falsi amori. Per questo amo presentarmi col nome borghese di Konstantin Bayern». Con l’eccezione di qualche foto incorniciata e gli immancabili ritratti di illustri progenitori, le pareti della stanza da letto del principe sono quasi interamente occupate da teste di cervi e caprioli. Vicino al letto a baldacchino, sporgono le lunghe corna nere a forma di lira del trofeo di cui egli va più orgoglioso: un maschio di impala. «Questo trofeo risale ad una delle ultime battute di caccia a cui ho partecipato con mio padre in Namibia. Armati di fucile, abbiamo visitato lande remote e desolate, dove il rapporto con la natura è più puro. Durante una spedizione nella regione del Kaokaland, ci siamo accampati nel letto di un fiume in secca: vedere dalla tenda gli animali sfilarci davanti, a pochi metri, è stato uno spettacolo che non dimenticherò mai». La caccia, con i suoi momenti in solitario, a tu per tu con la natura, e d’improvviso, quando la preda è vicina, i suoi attimi altamente adrenalinici,
esemplifica bene, spiega il principe, una costante della sua vita: la ricerca duplice e contraddittoria di due elementi inconciliabili per definizione, quiete ed eccitamento. “Madre Natura mi ha dotato di un carattere energico ed esuberante, votato all’azione, pericolosamente attratto dal brivido e dal pericolo: oscillo perpetuamente tra l’esigenza di frenarlo ed assecondarlo. Avviene così che ami perdermi nella natura, annullarmi in essa, ascoltarne i silenzi, ammirarne l’immensità. Ma amo anche il brivido della velocità”, una passione ereditata dal padre Leopold, pilota professionista, che lo ha portato già a quattordici anni a correre su Go kart professionali. Ma più di sport, caccia e musica (il giovane principe si diletta infatti con la musica elettronica e sogna presto di esibirsi come Dj in un club di Londra), è la fotografia, rivela, la sua passione più forte ed irrinunciabile. «Ho iniziato col fotografare animali esotici nel loro ambiente naturale, come zebre, ippopotami ed elefanti. Poi mi sono avvicinato ad un’arte in via di estinzione: la fotografia di automobili. Oggi, ahimé, si abusa di photoshop e di programmi di rendering che producono immagini impeccabili direttamente dal file del progetto. Ben altra cosa è la tecnica fotografica impiegata oggi da pochissimi professionisti, che prevede scatti a lunga esposizione del veicolo messo in penombra, ed illuminato nelle sue varie parti con precisione certosina da un pallone luminoso a luce diffusa, così da eliminare ogni ombra e riflesso». Mi porge alcune fotografie. Con mia sorpresa, non ritraggono né bestie né automobili, ma il volto sorridente di una ragazza. «E’ certamente il mio progetto più importante, a cui lavoro da anni, e che spero di poter mostrare presto. Colleziono scatti dei sorrisi di mia sorella Maria Pilar, diventata autistica da bambina per colpa di un’anestesia maldosata. Nonostante la diversità, mia sorella trova grande soddisfazione nella sua passione di sempre, la pittura. Quando dipinge, sorride. Il suo volto si illumina di sorrisi così autentici e privi di filtri, da risultare disarmanti. Voglio che tutti capiscano che ad ogni autistico dovrebbe essere data la possibilità di assecondare e sviluppare le proprie passioni, e di essere così felice. Mia sorella ci dimostra ogni giorno che è un traguardo raggiungibile».
Pubblicato su L’Uomo Vogue, Gennaio 2012
Photo credits: Dylan Don