Al Martin Gropius Bau “Innen Stadt Aussen”, l’attesa prima personale dell’artista nella sua città d’elezione
Un “vapore” amniotico fatto di colore puro, che ti accarezza, ti ingloba, ti compenetra, fino ad entrarti nei polmoni, e diventare così un tutt’uno con te. Ora rosso, poco dopo verde, poi giallo… ad ogni cambio cromatico, pare di rivivere coscientemente uno stupore antico, quello del giorno in cui per la prima volta gli occhi videro i colori, e familiarizzare nuovamente con ciascuno di essi. Siamo al piano terreno del Martin Gropius Bau, il celebre museo nel cuore di Berlino, dove è allestita “Innen Stadt Aussen” (“Dentro città fuori”), l’attesissima prima personale dell’artista Danese-islandese Olafur Eliasson nella sua città d’elezione, dove nel 1995 ha creato il suo celebre “laboratorio per la ricerca dello spazio”.
“Your blind movement” – questo il nome della vaporosa e colorata istallazione, ottenuta semplicemente piazzando lampade fluorescenti sul soffitto di una sala satura di fumogeno – è l’ultima delle quattordici “sorprese per gli occhi” che aspettano il visitatore all’interno del museo. Tutte inscenate, com’è nello stile di Eliasson, giocando con gli elementi a lui tradizionalmente più cari: giochi di luci, riflessi ed ombre, ottenuti con un uso sapiente e studiatissimo di filtri colorati, lampade e soprattutto, specchi. La fascinazione di Eliasson per gli specchi è in nessuna istallazione così manifesta come nell’opera centrale dell’esposizione: un’imponente costruzione alta oltre dieci metri che racchiude una stanza interamente rivestita di materiale riflettente: un immenso caleidoscopio che genera l’inquietante illusione di uno spazio chiuso, eppur infinito. Rivelare oltre, descrivendo in dettaglio la natura e l’aspetto delle altre installazioni, equivarrebbe a sabotare il lavoro dell’artista, che più di ogni altro ha fatto della sorpresa per l’occhio il manifesto della sua arte: c’è già riuscito più volte in passato, soprattutto con quelle opere pensate per gli spazi pubblici che lo hanno reso celebre: basta pensare a quando colorò di verde, per alcuni giorni, l’acqua di un canale di Stoccolma; o al doppio tramonto simulato, con un gioco di specchi, per i cittadini di Utrecht; o alla volta in cui attivò imponenti cascate d’acqua davanti a degli attoniti newyorkesi.
«Se a volte si può avere l’impressione che l’arte di Eliasson sia incentrata sulla natura, e in particolar modo sui fenomeni naturali più potenti, come il vento, l’acqua, la nebbia e la luce, la sua attenzione è in realtà rivolta squisitamente al processo con cui guardiamo al mondo», spiega il curatore eccellente della mostra, l’amico Daniel Birnbaum, direttore della scorsa edizione della Biennale di Venezia e presidente della Staedle Schule di Francoforte. Attraverso lo stupore, l’artista intende invitare gli spettatori delle sue opere a prendere coscienza del fatto che stanno guardando: “to experience to be experiencing”. L’occhio spento del visitatore – che scivola ormai distratto sugli spazi urbani senza più realmente guardarli – prende così coscienza del fatto di essere aperto, riscoprendo la sua antica funzione di strumento di registrazione del “nuovo” nel mondo.
Come suggerisce il nome, l’esposizione al Martin Gropius Bau è solo la parte indoor di una mostra “diffusa” all’interno del perimetro urbano, con ben 28 altre opere distribuite a giro per la città: tra di esse, curiose biciclette dalle ruote specchiate, e slavati tronchi d’albero che l’artista ha fatto arrivare dall’Islanda. Si tratta di “driftwood”: tronchi di alberi morti che, come un branco di balene tristi, attraversano gli oceani per anni ed anni per poi arenarsi in massa sulle spiagge di un’isola su cui – com’è noto – gli alberi con poche eccezioni non crescono. Cadaveri dunque “alieni”, emblemi di transitorietà e nomadismo, di cui l’artista estende artificialmente di una tappa – fino a Berlino – il lungo viaggio. Fiore all’occhiello della sezione open-air dell’esposizione è sicuramente “the Blind Pavillion” , l’opera che Eliasson presentò alla Biennale di Venezia del 2003 nel padiglione Danese, e che in quest’occasione ha ricostruito sulla misteriosa isola dei Pavoni, situata nel fiume Havel, non lontano da Potsdam. Per chi già non la conoscesse, un’ottima scusa per scoprire uno dei luoghi più misteriosi della città, da secoli luogo d’elezione per la realizzazione delle più folli visioni di alchimisti e Kaiser Prussiani, come Federico Guglielmo II, che la trasformò addirittura in paradiso esotico privato, con tanto di scimmie, lupi e addirittura canguri.








