L’uomo che fece scoprire il formaggio agli americani. Intervista a Ihsan Gurdal, il proprietario della Formaggio Kitchen di Boston

Il tempio dei formaggi

Se durante il prossimo viaggio a Boston, negli Stati Uniti, deciderete di visitare la Formaggio Kitchen, una delle épiceries fines per eccellenza della città e dintorni, prestate attenzione a non lasciarvi distrarre unicamente dalla profusione di salse artigianali, sott’oli, prosciutti di Parma, bottiglie dei migliori oli Liguri e aceti Balsamici di Modena, e le tante altre leccornie esposte sugli scaffali al piano terra: la vera attrazione del negozio è la cave à fromages situata al piano interrato, la prima e unica nel suo genere negli Stati Uniti per essere stata costruita direttamente nel negozio di un rivenditore, dove, a seconda del periodo dell’anno, possono essere ammirate e degustate fino a trecento tipologie differenti di formaggio artigianale made in Europe di altissima qualità. Storditi dall’odore pungente di così tanti formaggi messi insieme, spaesati dalla profusione di croste di ogni tonalità di colore nelle gamme dei gialli, grigi, neri e marroni, i clienti si aggirano con fare reverenziale, consci di trovarsi non in una cantina qualunque, ma nel sancta sanctorum di un tempio che Ihsan Gurdal, il proprietario della Formaggio Kitchen, l’uomo che in assoluto forse più si è adoperato per favorire la diffusione oltreoceano della cultura casearia del Vecchio Continente, nel corso degli anni ha eretto in onore del formaggio artigianale. È divertente osservare come molti di loro, convinti di non essere visti, non resistano alla tentazione di toccare di sfuggita le forme con le punta delle dita, per testarne la consistenza forse, oppure per sincerarsi che questo tripudio di varietà casearie possa davvero esistere in un paese, gli Stati Uniti, dove la parola cheese fino a poco tempo fa significava essenzialmente commodity industriale pensata per le masse, e la cui varietà si riassumeva in un ventaglio di non più di dieci tipologie differenti.

Dopo un passato da pallavolista a Istanbul, sua città natale (nel 1976 partecipa con la maglia Turca alle Olimpiadi) e una laurea in California, Gurdal si trasferisce alla fine degli anni ’80 a Cambridge dove viene assunto come semplice contabile alla Formaggio Kitchen. È l’inizio di una grande passione per i formaggi e di una carriera fulminea che lo porterà, nel 1992, a rilevare l’intera attività insieme alla moglie, e a diventarne il proprietario. “All’epoca il mercato Statunitense era suddiviso in tre settori tagliati con l’accetta: gli importatori, i distributori e i rivenditori al dettaglio. Nessuna sovrapposizione era mai stata tentata tra queste tre figure. Fummo tra i primi a tentare una commistione di questi ruoli, diventando dei rivenditori al dettaglio interessati a controllare di persona la provenienza dei prodotti venduti nel nostro negozio, così da poterne raccontare ai clienti la storia”.  Dalla commistione tra antica vocazione viaggiatrice dei commercianti Turchi e sperimentalismo all’Americana nasce la Formaggio Kitchen nella sua versione attuale, quella di un Emporio Ottomano, il cui proprietario va a spasso per i quattro angoli del pianeta alla ricerca dei migliori prodotti per i propri clienti, riportando con sé ad ogni suo rientro in patria una selezione di leccornìe prodotte in terre lontane e con esse le storie degli uomini e delle donne che le hanno prodotte con il sudore della loro fronte. In un paese, gli Stati Uniti, dove il cibo è solitamente inteso come prodotto industriale e spersonalizzato, la Formaggio Kitchen si profila come un rassicurante baluardo di umanità, tra i cui corridoi si aggira un aèdo moderno che, se ne avrete voglia, è lì a vostra disposizione per raccontarvi le storie di non-ordinaria passione, integrità morale e fedeltà ad un sogno che ogni formaggio  artigianale nasconde dentro di sé.

La “rete” e gli “accumulatori di formaggio”

“Il mio è un lavoro meraviglioso”, racconta, “che mi porta gran parte del tempo a giro per il mondo a conoscere i piccoli produttori di formaggio, una categoria umana affascinante, composta da individui forti, fieri, dalla personalità pronunciata, dalle convinzioni radicate e dalla moralità adamantina, dai quali ad ogni viaggio imparo immancabilmente qualche cosa di nuovo, ad ogni livello”. Decidere di controllare direttamente le fonti, instaurando per ogni formaggio venduto un rapporto personale di stima reciproca con il suo piccolo produttore, richiede doti diplomatiche non indifferenti, spiega l’uomo che dalla stampa Statunitense è considerato l’ “Ambasciatore”  del formaggio artigianale negli USA:  “A volte possono volerci dai tre ai cinque anni per convincere un piccolo produttore ad esportare anche solo pochissime forme del proprio formaggio; il mercato delle piccole produzioni casearie artigianali è infatti solitamente già saturato dalla domanda locale e dalla rete di amici e conoscenti. “Per convincerli a fare uno strappo alla regola occorre dunque procedere per altre vie meno ortodosse, come mungere insieme a loro le mucche, portare regalini ai loro bambini, andare a pranzo con le loro nonne,… insomma, è un po’ come flirtare!” A titolo di esempio cita il Comté des Juras della Fromagerie Marcel Petite, i cui produttori lo hanno costretto ad un vero e proprio cammino di iniziazione durato diversi anni, non dissimile da quelli richiesti dalle sette segrete ai neo-adepti.  “Sui monti del Giura, in Francia, dagli anni ’60 il Sig. Petite invecchia le proprie forme di Comté nelle cantine di una vecchia fortezza, il Fort Saint-Antoine, situate a ben 12 metri di profondità. Qui egli sperimenta da tempo stagionature insolite, ben superiori ai tradizionali 6 mesi, fino addirittura a raggiungere i 48 mesi. Per vendermi i suoi prodotti più stagionati, esige che io o uno dei miei assistenti ci rechiamo di persona alla fortezza quattro volte all’anno per scegliere le forme migliori, per dimostrargli che siamo in grado di riconoscere e apprezzare la qualità del prodotto. Ci sono voluti anni per ottenere alcune forme invecchiate 36 mesi, ma ancora, ahimé, nessuna delle ambitissime forme stagionate 48 mesi; per esse, non siamo evidentemente ancora sufficientemente “puri”…”  Eppure Gurdal sa che proprio nei piccoli numeri e nella strenua ricerca della qualità sta l’unicità della Formaggio Kitchen, e dunque la sua forza commerciale. Per poter importare anche poche forme da ogni singolo produttore, nel corso degli anni Gurdal ha tessuto con pazienza una rete di intermediari diffusa così capillarmente sul territorio Europeo da fare invidia a un grande narcotrafficante, le cui figure chiave sono quelli che lui chiama “accumulatori di formaggi”: amici e collaboratori incaricati di raccogliere dai vari piccoli produttori le poche forme disponibili di volta in volta (in alcuni casi anche solo cinque-dieci forme) e conservarle fino al raggiungimento della quantità minima necessaria per giustificare una spedizione a Parigi, dove confluisce regolarmente il formaggio “accumulato” pazientemente un po’ ovunque in Europa, e da dove salpano le navi alla volta di Long Island, New York.

Il Cavaliere consiglia

Un lavoro enorme che giustamente il governo Francese ha deciso di premiare, appuntando al suo petto, lo scorso Novembre, l’onorificenza di “Chevalier du Mérite Agricole” (cavaliere del merito Agricolo), “per aver dato” – si legge nel documento ufficiale del ministero dell’agricoltura Francese – “un contributo significativo allo sviluppo e al progresso dell’agricoltura in Francia, instillando nel pubblico americano la passione e l’amore per i formaggi e i vini Francesi”.  La medaglia gliel’hanno consegnata i Francesi, ma se vi è un paese che avrebbe motivi più che sufficienti, senz’ombra di dubbio più della Francia, per insignirlo di onorificenze, conferirgli medaglie, o quanto meno dimostrargli simpatia e gratitudine quello è proprio il nostro. “A differenza della Francia, che da secoli ha questa fama”, spiega Gurdal, “solo di recente l’Italia si è imposta all’attenzione degli Americani come un paese produttore di formaggi. Fino a poco tempo fa, l’immaginario collettivo Americano relativamente al formaggio Italiano si riduceva essenzialmente a cinque prodotti: Parmigiano reggiano, pecorino romano, mozzarella, fontina e gorgonzola”. Gran parte del merito di questo importante cambio d’immagine va senz’altro a Gurdal. Grazie al suo instancabile lavoro di ricerca sul territorio, oggi il panorama  si è arricchito di ben altri cento prodotti di nicchia provenienti da tutto lo stivale. Impossibile resistere alla tentazione di chiedere al “guru” dei formaggi quali sono i purosangue della sua scuderia di cui va più fiero. Ecco alcuni nomi da tenere a mente e da cercare magari tra gli stand di “Cheese!”  se, come Gurdal, anche voi visiterete Bra questo autunno: dalla Sardegna il  Fiore”; dalla Puglia il Calcagno, il Grana di latte di pecora e il pecorino Caggiano; dalla Toscana il Pecorino gran riserva di Pienza, famoso per essere conservato nel lardo di agnello; dalle province di Verona e Treviso i formaggi stagionati nel mosto o in altre bevande alcoliche che egli definisce “la vera moda” del momento: l’ubriaco con prosecco, l’ubriaco con durello e il caciocavallo in amarone; dal Piemonte, infine, tre fra i i suoi formaggi preferiti in assoluto: il Nostrale di Elva, il Castelmagno, la Robiola di Verbania o delle Langhe.

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