Autentico, sostenibile, responsabile: elogio dell’ecoturismo

 Dr. Don Hawkins è una penna storica del National Geographic oltreché professore ordinario alla George Washington University, a Washington, dove ha fondato il “Tourism Studies Program”, il primo corso di laurea al mondo che prevede una specializzazione in ecoturismo. Nel 2003 l’Organizzazione mondiale delle Nazioni Unite per il turismo gli ha conferito il primo premio “Ulisse” per il suo importante contributo nel settore della strategia turistica.

Le aree protette, come parchi naturali, oasi e riserve naturali, sono state per decenni attività economiche per lo più in perdita, dipendenti da fondi statali per il proprio mantenimento. La nascita del movimento dell’ecoturismo, agli inizi degli anni ’90,  ha invece dimostrato che la qualità e l’unicità (paesaggistica, faunistica ecc…) di un’area protetta rappresenta di per sé un fattore di competitività turistica sufficiente a produrre, se opportunamente valorizzato, non solo la ricchezza necessaria al mantenimento della struttura in questione, ma anche un surplus da ridistribuire tra le popolazioni locali, in massima parte rurali e spesso arretrate, favorendone così lo sviluppo. Perché questo avvenga – l’esperienza insegna – occorre che l’area protetta diventi il centro di una rete economica ben strutturata che coinvolga attivamente anche le popolazioni rurali che vivono nelle sue immediate vicinanze. In assenza di questa rete locale, il circolo virtuoso non si innesca. Ma come creare questo network? Quali strategie adottare per coinvolgere anche le comunità locali nel business del turismo naturalistico? La valorizzazione della gastronomia e della cultura agreste locale costituisce senz’ombra di dubbio un ottimo punto di partenza,  come ben esemplificato dallo sviluppo dell’ecoturismo in due parchi nazionali Bulgari, il “Rila” e il “Parco naturale dei Balcani centrali”, che ho avuto modo di seguire di persona per molti anni, e di cui mi piacerebbe qui evidenziare le tappe principali.

Fino ai primi anni ’90, il turismo in questi parchi era unicamente giornaliero: i visitatori arrivavano al mattino e ripartivano alla sera, e le popolazioni rurali della regione beneficiavano poco o nulla del flusso turistico; inoltre i proventi della vendita dei biglietti non coprivano che una minima parte dei costi di mantenimento del parco. Abbiamo pensato quindi di valorizzare la gastronomia locale come attrazione turistica. Per prima cosa abbiamo creato dei posti letto direttamente nel parco o nelle sue vicinanze, sia nella forma di Bed & Breakfast presso privati, sia costruendo piccoli alberghi e pensioni. Durante il soggiorno, al visitatore che un tempo al calare del sole ripartiva frettolosamente per la città è stata così data la possibilità di scoprire la cucina tradizionale di quelle terre, di appassionarsi alla qualità straordinaria dei sui ingredienti e, non per ultimo, di scoprire il fascino dei gesti millenari con cui essi vengono ancora oggi raccolti e lavorati. Vicino ai parchi naturali Bulgari si estendono infatti a perdita d’occhio dei bellissimi vigneti: ben presto ci siamo accorti che organizzare visite alle vigne, alle cantine, lasciare che le persone del luogo illustrassero il funzionamento di certi antichi macchinari (come gli alambicchi comunitari adibiti alla produzione della Rakia, la tipica grappa locale) erano tutte attività capaci di suscitare grande interesse nei visitatori. Così facendo abbiamo posto le basi per la nascita, accanto al turismo puramente naturalistico, anche di quello che ricerca l’ autenticità. Molti turisti oggi visitano i parchi naturali Bulgari non solo per fare del trekking nel verde e godere dei bei paesaggi di quelle terre, ma anche per provare sulla propria pelle esperienze autentiche, vere, che sanno di antico, legate alla cucina e alla cultura dei campi di quella regione. Tale turismo coinvolge direttamente le popolazioni locali, e produce una ricchezza che, in parte, viene rinvestita perché siano soddisfatte, accanto all’autenticità, le altre due grandi istanze dell’ecoturismo: sostenibilità e responsabilità. Se infatti il motto di Slowfood è “cibo buono, giusto e pulito”, quello dell’ecoturismo – quello vero, perché ne esistono tante brutte copie – è “turismo autentico, sostenibile e responsabile”. Se uno solo di questi attributi viene a mancare, non si può parlare di vero e proprio ecoturismo. Ai veri eco-turisti non basta fare esperienze autentiche; essi sono convinti che il degrado ambientale non debba essere l’inevitabile risvolto dello sviluppo economico indotto dal flusso turistico, ed esigono che una parte dei proventi del turismo venga impiegata per proteggere i luoghi da loro visitati. Essi sostengono inoltre che gli operatori turistici e i visitatori di aree “intatte” e uniche  sotto il profilo naturalistico o culturale debbano comportarsi in maniera responsabile, e attenersi rigidamente ad un preciso codice etico – il GCET – che mira a conservare tale patrimonio. Oggi l’ecoturismo, ovvero il  turismo dell’autenticità, della sostenibilità e della responsabilità ha saputo conquistarsi una fetta di mercato tutt’altro che trascurabile, e in continua crescita. Sempre più persone oggi, quando programmano un viaggio, cercano esplicitamente prodotti turistici che si rifanno a questi principî . Si tratta di valori che, ovviamente, possono essere ricercati in ogni tipo di viaggio, indipendentemente dalla destinazione prescelta. Perché infatti restringersi alle aree protette di interesse naturalistico? È per questo motivo che il National Geographic, da qualche anno, ha introdotto il termine “geoturismo”, per indicare una nuova forma di turismo che eredita dall’ecoturismo i valori di autenticità, sostenibilità e responsabilità, ma che estende il suo raggio d’azione ad ogni tipo di destinazione, aree urbane incluse, ponendo l’accento non solo sulle ricchezze naturali o paesaggistiche di un luogo, ma anche e soprattutto su quelle storico-culturali. Credo che Slowfood, in qualità di difensore e valorizzatore della cultura gastronomica e agricola del pianeta, si inserisca perfettamente nel quadro del geoturismo e, anzi, possa svolgere un ruolo di primo piano nel catalizzarne lo sviluppo. Quanto avvenuto nei parchi Bulgari mostra chiaramente che il settore del turismo sostenibile e quello della gastronomia di qualità possono fare molto l’uno per l’altro: decidendo di puntare sulla valorizzazione della gastronomia locale abbiamo innescato un circolo virtuoso che in pochi anni  ha trasformato i due parchi in attività economiche fiorenti capaci di auto-finanziarsi e auto-preservarsi, oltreché di produrre ricchezza per gli abitanti della regione. Invito per questo i soci e i simpatizzanti di Slowfood a inserirsi il prima possibile tra i partecipanti del concorso “Ashoka geotourism challenge”, indetto ogni anno dalla National Geographic Society per premiare e finanziare le idee più innovative e creative per favorire lo sviluppo del geoturismo nel mondo. Un’idea potrebbe essere la fondazione di uno “slowfood-geotourism volonteer core, ovvero un gruppo di viaggiatori-volontari attivo su tutto il pianeta, alla stregua di medici sanza frontiere, composto da persone desiderose di dedicare una parte del loro viaggio ad aiutare le comunità rurali a valorizzare il proprio patrimonio enogastronomico e a trasformarlo in attrazioni “geoturistiche”. Perché il miracolo dei parchi naturali Bulgari possa ripetersi un po’ ovunque nel mondo.

Pubblicato su SLOWFOOD 41

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