Le tecniche di ieri

Dalle “mezzelune di pietra” di tradizione biblica, impiegate per intrappolare l’umidità negli uliveti,  fino ai “canestri condensanti” delle isole Fiji, con cui i pescatori dissalano l’acqua marina in pieno oceano: non si può che rimanere affascinati davanti ai molteplici esempi di genio umano contenuti nella “banca dati dei saperi tradizionali” dell””International Traditional Knowledge Institute” (“itki”), il nuovo ente fondato a metà Maggio a Firenze sotto l’egida dell’ UNESCO  per proteggere dall’oblio i saperi antichi.   Settecento categorie, migliaia di voci già inserite (una goccia nell’oceano rispetto ai dieci milioni di tecniche tradizionali, che, si stima, esistono sul pianeta),  il “database dei saperi antichi” sarà aperto a tutte le amministrazioni pubbliche del mondo; lungi dal costituire un’operazione culturale fine a se stessa, esso non si limiterà tuttavia a catalogare le tecniche, ma cercherà anche di favorirne nuove, originali applicazioni. «L’uso innovativo delle conoscenze tradizionali costituisce, a detta di molti analisti, la base per una tecnologia sostenibile, indispensabile per l’elaborazione di un nuovo modello di progresso umano», spiega Pietro Laureano, uno dei responsabili dell’iniziativa. «Basterebbe, ad esempio, abbandonare cemento e prodotti sintetici a favore delle malte tradizionali per dimezzare non solo le emissioni di gas serra, ma anche la bolletta elettrica degli appartamenti moderni». L’Itki vuole essere il catalizzatore di un cambiamento di cui si vedono già i segnali: Slow Food da anni si batte per un recupero di tutte quelle tecniche agricole tanto “intelligenti” quanto dimenticate, che consentirebbero di risparmiare acqua e fare a meno di pesticidi; nel settore dell’edilizia, il recente boom dell’ “architettura povera”, detta anche “vernacolare”–  ha spinto l’università di Losanna ad istituire la prima cattedra al mondo interamente dedicata a questa disciplina, a lungo declassata come minore; per tagliare le emissioni nocive il parlamento portoghese ha promulgato, da alcune settimane, una pionieristica legge che impone ai costruttori l’obbligo di motivare ogni scelta di non utilizzare tecniche e materiali tradizionali. Ma sono soprattutto  i numerosi casi di brevettazione indebita di tecniche tradizionali da parte di imprese e multinazionali – un vero e proprio saccheggio, che l’UNESCO, con la creazione della banca dati, intende da ora in poi arginare – la prova lampante che esse costituiscono agli occhi di molti ormai un ghiotto bacino di idee redditizie per la green economy del futuro. È quanto vuole dimostrare l’annunciato progetto di restauro, coordinato dal’ Itki, del complesso medievale delle Gualchiere, un laboratorio tessile trecentesco, da tempo in disuso, che sorge sulle rive dell’Arno, non lontano da Firenze: «Torneranno a girare le antiche ruote di legno che, spinte dall’acqua deviata del fiume, produssero un tempo l’energia per attivare tutti i macchinari di lavorazione della lana: presto alimenteranno gli atelier e le boutique di stilisti attivi nel settore dell’ecofashion, che qui potranno produrre e vendere capi a impatto zero», rivela Laureano. Che poi conclude. «Può suonare rivoluzionario, eppur non c’è niente di nuovo: il futuro sostenibile è già tra noi, da centinaia, se non migliaia di anni».

 

Pubblicato su VOGUE ITALIA, Luglio 2010

 

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