A distanza di trentatre anni dalla sua première al Festival di Cannes, e dopo oltre due di restauro e remissaggio, sarà finalmente possibile rivedere in sala, in occasione della 65° edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, la pellicola più originale e rappresentativa di Adriano Celentano,“ Yuppi Du” (1975). Il film, le cui scene si svolgono in gran parte a Venezia, narra le vicende di un gondoliere, Felice, interpretato da Celentano stesso, la cui vita viene sconvolta dall’improvvisa ricomparsa della ex-moglie (Charlotte Rampling), tornata dal passato per portar via con se’ la figlia avuta durante il loro matrimonio. Indimenticabile la scena della danza tra i due ex-coniugi sulla Torre de’ Mori in Piazza San Marco, dove, davanti agli occhi increduli della nuova moglie (Claudia Mori), la Rampling, seminuda, con movenze a tratti sensualissime, a tratti insolitamente rigide e scattose, fa sfoggio di quella ieratica bellezza con cui, pochi anni prima, si era imposta al pubblico Italiano ne “La caduta degli Dei” (1969), di Visconti, e nel torbido “Il portiere di notte” (1974), di Liliana Cavani. Charlotte oggi, come allora, è una donna strana, misteriosa, un essere dalla natura ibrida, Inglese di nascita ma Francese di adozione, glaciale e sensuale al tempo stesso. Seduto davanti a lei, bellissima nonostante abbia ormai superato i sessant’anni, mi domando quale sia il segreto di un fascino così longevo e inossidabile. Forse, avanzo tra me e me l’ipotesi, il segreto della sua avvenenza senza età risiede nel fatto che la sua, da sempre, è una bellezza eminentemente cerebrale, psicologica (Woody Allen ha detto di lei: “Quella donna ha addosso l’odore della nevrosi. Insieme a Kafka, la inviterei come ospite alla mia cena ideale”), tutta incentrata sullo sguardo. Due occhi color smeraldo che, ancora oggi, sono sovrapponibili a quelli di Lucia Altherton del “Portiere di notte”, vitrei, eterei, enigmatici, a tratti assenti (al punto che un collega del “The Guardian”, in un’intervista del 2001, osservò giustamente: “pare guardi lontano anche mentre ti sta fissando diritto negli occhi”), ammalianti come non mai.
La scelta degli organizzatori della Mostra di resuscitare dopo tutti questi anni “Yuppi Du” non sorprende più di tanto l’attrice. “Già durante le riprese mi era chiaro che si trattava di uno di quei film visionari e anticipatori che, a rischio di non essere capiti appieno dai contemporanei, investono più sul successo a lunga durata che su quello del momento.” Una fiducia nel film probabilmente assorbita osmoticamente dal regista decisamente entusiasta – ipotizza ironicamente la Rampling. “Adriano considerava se stesso un capolavoro vivente e non aveva il minimo dubbio che anche il suo film lo sarebbe stato!” .
Charlotte è famosa per non rivedere mai più di una volta i film che ha interpretato, convinta, un po’ superstiziosamente, che farlo sottrarrebbe qualcosa all’impressione della prima visione, l’unica che a suo avviso veramente conta. Scopro che nemmeno per “Yuppi Du” ha fatto eccezione. “Non ho mai più rivisto il film da allora, anche perché Adriano si è sempre dimenticato di mandarmi la copia che mi aveva promesso” – spiega con una scherzosa lamentela l’attrice. Se anche avessi voluto rivederlo, non sarebbe stato facile, poiché questo film non è mai uscito né in DVD, né in videocassetta, per, immagino, esplicita volontà di Adriano.” Eppur i ricordi di quel set che lei definisce “rocambolesco” sono ben impressi nella sua memoria. “Impossibile dimenticare i giorni delle riprese di quel film! Girare con Adriano fu un’esperienza all’insegna dei colpi di scena, degli imprevisti. Con una persona così imprevedibile non sai mai quello che sta per succedere! Furono riprese all’insegna dell’assurdo, del gioco, dello scherzo, e al tempo stesso caratterizzate da afflati molto profondi, poiché Adriano credeva a questo progetto con tutta la sua anima. Egli si sentiva una sorta di Cristo, di profeta moderno, depositario di un messaggio per l’umanità intera. Passava da una visione all’altra, cambiava idea in continuazione, mi era impossibile ravvisare la minima coerenza nelle sue parole. Ricordo dei tempi morti lunghissimi, interminabili ore durante le quali Adriano cercava l’ispirazione per una scena. Poi d’un tratto l’idea che cercava si materializzava nella sua mente e a quel punto dovevamo tutti essere pronti per girare prima che la sua estasi creativa svanisse…”. Mentre descrive Adriano Celentano come pazzo invasato dalle velleità profetiche, leggo tra le righe un’enorme stima e ammirazione per il celebre anticonformismo del “molleggiato”. “Come attrice, mi trovo perfettamente a mio agio a lavorare con personalità eccentriche. Per di più ho sempre creduto che il cinema, come mezzo espressivo, abbia una particolare vocazione ad assorbire queste forme di eccesso. Di Adriano, dopo lo spaesamento iniziale, intuii rapidamente l’anima sovversiva, la straordinaria originalità, il talento selvaggio e ricordo di esserne rimasta profondamente affascinata.”
Un amore per i ruoli strani e insoliti che contraddistingue tutta la sua carriera e che la porta, nel 1986, ad accettare di incarnare addirittura il ruolo di una donna innamorata di uno scimpanzé, nel film “Max, mon amour” di Nagisa Oshima. “La decisione di lavorare con Adriano fu tutta mia, nessuno mi spinse ad accettare quella parte. Ero sicura che con lui avrei avuto la possibilità di creare un film originale. Chi mi conosce bene sa che nel corso della mia carriera non ho mai fatto film per il semplice gusto di farli. L’unica cosa che mi preme, ancora oggi, è fare degli incontri con registi che risultino ispirati dalla mia persona e la cui visione combaci con il mio, diciamo, “viaggio” personale. L’incontro con Adriano fu senz’ombra di dubbio uno uno di questi incontri fortunati, carichi di ispirazione.”
Il 4 Settembre, giorno della nuova première del film a Venezia, evento a cui presenzieranno sia Celentano che la moglie Claudia Mori, Charlotte sarà assente, perché impegnata in Brasile sul set del film “Sex is comedy” di Jonathan Nossiter, le cui riprese dureranno per oltre due mesi. Il 2008 è stata un’annata particolarmente prolifica per la British lady del cinema Francese. Negli ultimi mesi ha preso parte a vari progetti cinematografici, i più importanti dei quali sono il film storico in costume “The Dutchess” , del regista Saul Dibb, con Keira Knightley and Ralph Fiennes, che narrerà le vicende di una ricca e stravagante ava della principessa Diana, Georgiana Spencer, vissuta nel 18° secolo, e l’attesissimo (almeno dagli amanti del genere) film di fantascienza “Babylon AD”, di Mathieu Kassovitz, tratto dal romanzo cult “Babylon babies” dello scrittore francese Maurice G. Dantec. È un piacere, scorrendo la sua recente filmografia, constatare che il Cinema si è nuovamente accorto di lei, dopo la lunga assenza dai set, durata quasi dieci anni, a partire dai primi anni ’90. Sono, quelli, anni duri e difficili per l’attrice, nei quali il dolore, mai veramente superato, per la scomparsa improvvisa della sorella, a soli 22 anni, prende a poco a poco la forma di una forma acuta di depressione. Un lungo viaggio nell’elaborazione del lutto che, dopo averla tenuta a lungo lontano dal grande schermo, l’arricchisce del vissuto necessario per interpretare magistralmente uno dei personaggi più “psicologici” e meglio riusciti della sua carriera, quello di Marie in “Sotto la sabbia” di François Ozon, il film del 2000 che la rilancia a livello internazionale. È in questo film, dove interpreta il ruolo di una donna di mezza età incapace di accettare la misteriosa quanto improvvisa scomparsa del marito che, forse, più fa sfoggio dell’arte della stillness, quel suo tipico modo di recitare statico, poco generoso di movimenti, dove l’immobilità del corpo, lungi dall’esserne un limite, funge al contrario da elemento potenziatore dell’espressività dello sguardo e dell’esteriorizzazione della psicologia del personaggio. Per Ozon, che non esita a chiamarla “la sua musa”, anche se lei, più modestamente, preferisce definirsi “la sua mascotte”, Charlotte Rampling, forse in segno di gratitudine, ha infranto per la prima volta la sua vecchia regola di non girare mai due volte con lo stesso regista, partecipando ad altri due film del giovane cineasta Francese: “Swimming Pool”, nel 2003, e, l’anno scorso, “Angel, la vita, il romanzo”.
Pubblicato su L’Uomo Vogue, settembre 2008
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