Le emozioni addosso

Le emozioni addosso
Abiti muniti di biosensori in grado di registrare, e mostrare, gli stati d’animo di chi li indossa. Fantascienza? Secondo i designer multimediali è il futuro.
Michele Fossi

Che dal connubio tra moda e sensori potesse sprigionarsi magia pura, ne avevamo avuto un primo sentore già nel 2011,  grazie alla memorabile l’installazione di Ying Gao al Musée National des Beaux-Arts du Québec. In quell’occasione, la stilista multimediale canadese presentò una serie di abiti muniti di sensori e integrati da elementi robotici,  da lei definiti “autonomi”,  che reagivano automaticamente alla vicinanza degli spettatori gonfiandosi e sgonfiandosi, dando così l’impressione di essere entità vive e senzienti. Due anni dopo, Gao realizza una nuova serie di abiti autonomi, programmati, per muoversi solo quando “osservati”: un prodigio reso possibile da speciali microcamere incorporate nel tessuto,  in grado di riconoscere la sagoma degli occhi umani.  Ma è nel 2017 che la creativa supera se stessa con una nuova serie di abiti la cui peculiarità è contorcersi (di “emozione”, verrebbe da scrivere) se toccati per la prima volta da una persona. Ma attenzione, solo la prima volta; già alla seconda carezza il miracolo non si ripete, l’abito rimane immobile e indifferente. Avanti il prossimo. Il trucco? Ancora una volta la presenza di speciali sensori distribuiti su tutta la superficie dei vestiti, in grado di registrare le impronte digitali di chiunque li tocchi e salvarle seduta stante in un database. 

Più di recente, l’artista polacca Iga Węglińska ha dato un originale contributo a questa linea di ricerca, creando due abiti integrati da biosensori, da lei battezzati emotional clothing, in grado di registrare in tempo reale emozioni e cambi di stato d’animo di chi li indossa. Il primo è una camaleontica blusa che cambia colore, passando da nero a trasparente, in base alla temperatura corporea e alla frequenza cardiaca dell’indossatore, parametro che influenza anche il ritmo a cui lampeggiano delle luci incorporate lungo le linee dei fianchi. Collegati per mezzo di biosensori, abito e corpo diventano così, per la prima volta nella storia della moda, un’entità emotiva unica: se, per fare un romantico esempio, ci trovassimo a indossare questo capo nel momento in cui riceviamo il primo, inatteso bacio della persona amata, il rossore delle nostre guance e il batticuore sarebbero accompagnati seduta stante  da un improvviso cambio di luci e colori dell’abito. Il secondo top, caratterizzato invece da una voluminosa silhouette che ricorda le forme di uno scafandro o di una tuta spaziale, è abbellito da una serie di luci LED rosa che reagiscono alla tensione epidermica superficiale delle dita della mano, un parametro biofisico direttamente correlato agli stati di stress. «Quando l’ho provato su me stessa, ho scoperto, con mia grande sorpresa, di essere stressata», rivela la creativa polacca. «Solo ascoltando musica classica sono riuscita, dopo un bel po’, a rilassarmi e a ottenere che le luci dell’abito cambiassero di colore».

La moda bio-sensorizzata, come potremmo battezzare questo nuovo genere di esperimenti, si rivela dunque un interessante strumento autodiagnostico, che,  in un futuro non troppo lontano, potrebbe apportare alle nostre vite maggiore salute e benessere psicofisico, segnalandoci insidiosi stati di malessere e invitandoci a rallentare il ritmo di lavoro quando ansia e tensione superano i limiti di guardia. «Ma sarebbe riduttivo, di questo progetto, vedere solo le implicazioni mediche, per quanto intriganti», avverte Węglińska. «La mia intenzione principale era sottolineare che l’abito è una tipologia di oggetto che, pur accompagnandoci da millenni, presenta un potenziale ancora parzialmente inesplorato, invitando i designer a pensare out of the box. In particolare mi premeva dimostrare che, oltre a essere un’estensione della nostra pelle – un elemento prostetico che da millenni assolve a ben note funzioni primarie, quali difendere il corpo dal freddo o da sguardi indiscreti, farsi belli o esprimere la propria personalità – esso può fungere anche da estensione della mente». Il riferimento concettuale, spiega, è all’affascinante Teoria della mente estesa formulata nel 1998 da Andy Clark e David Chalmers, secondo la quale il processo cognitivo umano può avere luogo anche fuori dal cranio, all’interno di dispositivi non biologici collegati al corpo, come strumenti sensorizzati e computer, che è lecito considerare a tutti gli effetti parti integranti della mente. «Ho voluto inoltre giocare con il concetto di sostituzione sensoriale, il fenomeno che si verifica quando il cervello prende le informazioni da un senso, come il tatto, e le trasforma nella percezione di un altro senso, come la vista, come avviene quando le persone non vedenti “leggono”, non con gli occhi ma con i polpastrelli della dita, attraverso l’alfabeto braille. Ho voluto dimostrare che con un abito è possibile vedere un calore, o uno stress».  Al di là del valore artistico e concettuale di queste creazioni, la vera domanda è se la moda bio-sensorizzata possa avere un futuro commerciale. «Se mai arriveremo a una diffusione di massa dei biosensori nella moda, è più probabile che essa avvenga nella forma di piccoli accessori, che abiti veri e propri: le intrinseche difficoltà di lavaggio degli articoli di techwear integrati da sensori e parti elettroniche costituisce al momento un enorme ostacolo alla loro commercializzazione», spiega. Per quanto ancora? Risale a soli quattro mesi fa la scoperta, da parte di un team di ricercatori dell’Università dell’Utah, di un tessuto smart arricchito in fibre di argento in grado di registrare in tempo reale la risposta elettrica dei muscoli del corpo, per il quale si prevedono importanti applicazioni nell’ambito della medicina sportiva. Dopo dodici lavaggi in lavatrice, il portentoso tessuto-biosensore era ancora perfettamente funzionante. 

Ma soprattutto, è lecito chiedersi se la diffusione dei biosensori nella moda sarebbe davvero auspicabile: in numerose occasioni, lo storico e sociologo israeliano Yuval Noah Harari ha messo in guardia dai rischi di un’eventuale diffusione di massa di abiti e accessori tecnologizzati in grado di registrare parametri biometrici: un’inquietante nuova frontiera della tecnologia, a suo dire, che rischia di proiettarci in scenari distopici dove abiti, collane e orologi, per mezzo di biosensori, si trasformeranno in mostruose “macchine della verità” portatili, attraverso le quali autocrati e altri malintenzionati potranno scrutare a piacimento all’interno del nostro cuore. Senza arrivare a tanto, anche solo il pensiero che una maglietta o un paio di calzini possano saperne di più sul nostro stato psicofisico di noi stessi basta per augurarsi che tale scenario sia ancora lontano.

Pubblicato su Vogue Italia, Marzo 2022

Emotional Clothing by Iga Węglińska
photo by Mila Łapko
Emotional Clothing by Iga Węglińska
photo by Mila Łapko
Emotional Clothing by Iga Węglińska
photo by Mila Łapko
Iga Węglińska
Film noir by Ying Gao
photo : Maude Arsenault 

Film noir by Ying Gao
photo : Maude Arsenault 

Film noir by Ying Gao
photo : Maude Arsenault 

Paper work by Ying Gao
photo : Maude Arsenault 

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