I raffinati piatti vegetariani della monaca-chef sudcoreana Jeong Kwan, ottenuti rigorosamente a partire da ingredienti da lei stessa coltivati, fermentati o disidratati nel rispetto di antiche tecniche di conservazione, “non sfigurerebbero”, ha dichiarato entusiasticamente Jeff Gordinier, critico gastronomico del New York Times, “sulle tavole del Noma di Copenhagen o del Saison di San Francisco”. A godere del raro connubio di delicatezza e potenza estetica delle sue creazioni — si pensi ai fotogenici “Involtini al ginseng fresco, giuggiole, cetrioli e castagne” o al suo celebre “Tè al fiore loto” — non sono tuttavia i danarosi avventori di un ristorante stellato, bensì le monache ed i visitatori del Tempio buddista di Baekyasa, a sudovest di Seoul, dove la cuoca segue la pratica Zen da quando aveva diciassette anni. “Il cibo che preparo è una rivisitazione del “cibo del tempio”, un insieme di piatti di tradizione monastica concepiti per schiarire ed energizzare la mente”, spiega Jeong Kwang nel documentario della serie Netflix “Chef’s table” a lei dedicato, salutato addirittura con una standing ovation quando nel febbraio 2017 fu presentato alla Berlinale, e a cui deve un’improvvisa notorietà planetaria. “L’atto stesso di cucinare è per me innanzi tutto una forma di meditazione; la condivisione dei miei piatti una via verso l’illuminazione.” Parole pronunciate con pacatezza monastica, ma che, alludendo al cibo come strumento di benessere spirituale prima ancora che fonte di piacere sensoriale, scuotono alla base come un terremoto le secolari concezioni occidentali legate all’atto di mangiare, lasciandoci col dubbio di averne vissuto finora, persino alla tavola dei grandi chef, un’esperienza limitata e riduttiva. La dice lunga a tal riguardo il fatto che persino un re della gastronomia internazionale come Eric Ripert, chef del tristellato “Le Bernardin” di New York, si sia recato in pellegrinaggio al suo tempio per apprendere da lei i segreti del cibo che illumina la mente. Lei intanto, che pur avrebbe più di un motivo per montarsi la testa, sembra magicamente immune da ogni tentazione dell’ego. “Continuo a vedermi come una semplice monaca, non una chef. È la Natura, con i suoi lenti tempi di crescita e fermentazione delle verdure, la principale artefice dei sapori dei miei piatti. E poi non sono mai da sola a cucinare: ogni qualvolta preparo il cibo del tempio, mia madre, mia nonna ed i miei antenati sono con me, e rivivono in ogni mio gesto”.
Pubblicato su GQ Italia, Marzo 2018