La risonanza magnetica nucleare scende in campo contro l’adulterazione dell’olio d’oliva
IN NUCLEO VERITAS
Mercanti d’olio d’oliva truffaldini e fraudolenti attenzione, la Risonanza Magnetica Nucleare (NMR) è scesa in campo per smascherarvi. Non si tratta in realtà di una novità, le potenzialità in campo agroalimentare di questa tecnica sono note da molti anni – mi spiegano la Prof. Segre e la Prof. Luisa Mannina del laboratorio dell’Istituto di Metodologie Chimiche del CNR di Roma – , ma solo recentemente l’NMR ha destato l’interesse delle autorità, che presto ne ufficializzeranno l’uso per numerose indagini antisofisticazione. Di questa metodologia analitica mi stupisce innanzitutto la sproporzione tra le dimensioni dello strumento e quelle del campione da analizzare: pochi microlitri (milionesimi di litro!) di olio, opportunamente disciolti in un solvente, vengono inseriti in un piccolo foro situato sulla sommità di un imponente macchinario alto circa tre metri e largo due, all’interno del quale si generano campi magnetici enormi, pari a 15 000 volte quello terrestre. Il risultato dell’analisi è una linea frastagliata detta “spettro” (Figura 1), nient’altro che uno scarabocchio per i non addetti ai lavori, inesauribile fonte di informazioni per gli spettroscopisti NMR. Uno spettro è composto da numerosi “picchi”, cioè i punti in cui la linea si innalza, dovuti all’interazione di alcuni nuclei delle molecole dell’olio con il campo magnetico generato dallo spettrometro. La frequenza in corrispondenza della quale si trovano i vari picchi permette di identificare i vari componenti dell’olio: misurando poi l’area sottesa ai picchi se ne può addirittura stimare la concentrazione.
“Le sostanze responsabili delle principali qualità sensoriali dell’olio – mi spiega la ricercatrice – originano spesso segnali caratteristici in corrispondenza di particolari frequenze”. Trovo affascinante che dietro ciascuna di quei picchi si nasconda una sfumatura di sapore: il carattere “pungente”, ad esempio, è dovuto a polifenoli e alcoli, ma anche alla formaldeide, che origina un caratteristico picco a 8.00 ppm; il carattere ”avvinato” è dovuto alla presenza di acido acetico: due picchi a 3.55 e 3.85 ppm; il carattere “verde-fruttato”, tipico dell’olio nuovo, è dovuto ad un’aldeide, il trans-2-esenale, che genera un picco inconfondibile a 9.45 ppm… Mi diverte l’idea che la Prof. Mannina, prendendo in mano per la prima volta lo spettro NMR di un olio sconosciuto, ne “gusti” la fragranza senza bisogno di assaggiarlo, proprio come un musicista che “sente” dentro di sé la musica che legge mentre scorre con gli occhi le note di uno spartito.
Agropirati tremate
Per poter certificare la qualità dell’olio d’oliva, un regolamento della comunità Europea (2568) prescrive una serie di indagini di laboratorio tra cui l’analisi dell’acidità libera, l’analisi degli steroli, la caratterizzazione degli acidi grassi, la quantità totale di legami insaturi ecc.. Queste informazioni vengono ottenute collezionando i risultati di numerosi esperimenti effettuati con 4-5 tecniche diverse, come gascromatografia e spettroscopia di assorbimento. Tra esse non figura però l’NMR, considerato una tecnica analitica troppo costosa perché possa essere impiegata nelle analisi di routine. Faccio notare questo alla Prof. Mannina, che coglie al balzo la mia provocazione per elencarmi i meriti della risonanza magnetica. “Per quanto riguarda le analisi di routine, l’NMR è sì costoso, ma in realtà non molto di più delle tecniche tradizionali, se si considera che consente di ottenere tutte le informazioni richieste dalla legge con un unico esperimento e in poche ore. Ma l’NMR è molto più di questo: è innanzitutto uno strumento insostituibile per mettere nero su bianco frodi e adulterazioni.” La ricercatrice mi fa l’esempio di un annoso problema, quello degli olii riscaldati a 100-120 °C . Questo trattamento, molto comune e non rilevabile con le altre tecniche analitiche, serve a migliorare artificialmente le qualità sensoriali di olii scadenti (soprattutto quelli che sanno di muffa), così da poterli commerciare come extra-vergine. È una delle truffe preferite dagli agropirati: in una recente indagine della tedesca Stiftung Warentest 23 olii extra-vergine venduti in Germania sono stati analizzati e messi a confronto; ben 5 di essi sono risultati olii trattati termicamente. Quando un olio viene scaldato, gli instabili 1,2 –Digliceridi, costituenti naturali dell’olio, si trasformano nei più stabili 1,3-Digliceridi. Con l’NMR basta confrontare l’area sottesa ai “picchi” dovuti a queste due specie, in modo da stabilire le loro quantità relative, per svelare la truffa: se il contenuto in 1,3-Digliceridi supera quello in 1,2- digliceridi siamo di fronte ad un olio riscaldato. Se le due specie sono presenti in quantità comparabili, significa che l’olio non è extravergine ma “lampante”, ottenuto cioè da spremiture successive. Nell’extra-vergine di qualità invece il rapporto è inconfondibilmente spostato a vantaggio degli 1,2- digliceridi. Questo controllo semplicissimo può essere eseguito nel giro di pochi minuti.
Senza dover eseguire ulteriori esperimenti ad hoc, l’NMR consente di individuare gran parte di quelle sostanze utilizzate normalmente per adulterare l’olio. “Al supermercato, dovendo scegliere tra un olio verde ed un olio giallo, quale metterebbe nel carrello?” – mi chiede a bruciapelo la Prof.. Mannina. Rispondo che comprerei probabilmente quello verde. “Come Lei la pensa la maggior parte dei consumatori, perché il colore verde è sinonimo di freschezza”. In realtà, nel caso dell’olio d’oliva, il colore non rappresenta un indicatore attendibile della qualità del prodotto (si possono avere pessimi olii verdi e ottimi olii gialli), ma per incrementare le vendite si fa uso di coloranti verdi, come la clorofilla. Queste aggiunte (innocue, certo, ma ingannevoli) vengono rilevate facilmente con l’NMR, perché il colorante origina picchi in regioni dello spettro dove esso normalmente è piatto. Con l’NMR si può anche evidenziare l’assenza di sostanze che dovrebbero essere contenute nell’olio extra-vergine, e che invece possono essere assenti in olii rettificati o adulterati. E’ il caso dello squalene (sostanza abbondante nella cartilagine dello squalo, da cui prende il nome), un componente naturale dell’olio d’oliva. La molecola origina vari picchi, di cui uno, particolarmente caratteristico, segnala un’avvenuta adulterazione se è assente.
L’analisi NMR consente inoltre di smascherare “tagli” con olii meno pregiati. Un caso particolarmente eclatante è sicuramente l’ adulterazione con l’olio di nocciola, che riguarda soprattutto olii provenienti da Tunisia e Turchia . Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, l’olio di nocciola ha un valore commerciale superiore all’olio d’oliva: come si spiega quindi che venga utilizzato per la sua adulterazione? Non trattengo una smorfia di disgusto mentre la Prof. Mannina mi spiega che l’olio di nocciola incriminato si ricava esclusivamente da nocciole vecchie, marce e ammuffite, inadatte all’esportazione; invece di gettarle, si preferisce “valorizzarle” per produrre un olio che trova impiego, dopo un’opportuna deodorizzazione, per adulterare olii d’oliva scadenti. Si tratta, tra l’altro, di una frode alimentare di difficile individuazione che attenta gravemente alla salute del consumatore: in questi olii possono annidarsi infatti delle pericolose micotossine cancerogene. La mancata dichiarazione di un derivato della nocciola sull’etichetta può inoltre causare gravi reazioni anafilattiche nei soggetti allergici. Il problema ha destato molto allarme negli ultimi anni, al punto che l’Unione Europea ha lanciato, nel 2001, un progetto di finanziamento (“MEDEO: Hazelnut contamination in olive oil”) a beneficio di diversi Enti di ricerca Europei, tra cui il CNR di Roma, incaricati dalle autorità di sviluppare nuove metodologie analitiche in grado di rivelare contaminazioni di olio di nocciola nell’ordine del 2-20%. A distanza di cinque anni, il bilancio è positivo. Oggi questa particolarmente delittuosa forma di frode alimentare può essere smascherata da un uso combinato di NMR e gascromatografia. Tiro un sospiro di sollievo.
NMR e tracciabilità
L’NMR non si limita a dare informazioni sulla composizione chimica dell’olio d’oliva e sulla presenza di eventuali “tagli” o sostanze adulteranti. Una sua ulteriore applicazione, forse la più interessante per il settore agroalimentare, è la rilevazione dell’origine geografica. Il principio è semplice: si tratta di confrontare, con l’aiuto di un computer, gli spettri NMR di olii dalla provenienza ignota con quelli di cui si conosce l’origine geografica, e di determinare in che misura sono simili. Il profilo frastagliato di uno spettro NMR varia infatti sensibilmente a seconda della varietà di pianta d’ulivo (effetto genetico) e della regione in cui viene prodotto (effetto pedoclimatico) e rappresenta dunque dunque una sorta di impronta digitale dell’olio d’oliva. Il potere risolutivo di questa analisi è tale da permettere di discriminare con successo tra olii provenienti addirittura da province diverse della medesima regione Italiana! (Figura 2). Guai quindi a cercare di spacciare un olio Pugliese per Ligure o viceversa: grazie all’NMR, truffe di questo tipo sono oggi estremamente facili da smascherare. La sopramenzionata indagine della Stiftung Warentest mostra, tra l’altro, quanto attuale e diffuso sia il problema delle false dichiarazioni d’origine sulle etichette: ben 5 dei 23 olii presi in esame sono risultati non provenire dall’Italia contrariamente a quanto dichiarato sull’etichetta. Per arginare questo fenomeno, che attenta gravemente al buon nome dei nostri prodotti, nel 1992 l’Unione Europea ha introdotto il marchio di qualità D.O.P. (Designazione di Origine Protetta), che aumenta il valore dell’olio Italiano, Spagnolo e Greco e assicura un prodotto di qualità superiore e di origine definita. La produzione Italiana di “oro giallo” non ha niente da invidiare a quella di altri paesi: non solo raggiunge i massimi livelli in termini di qualità, ma batte ogni record anche in termini di varietà: 700 cultivar (varietà) contro i 20 spagnoli, per intenderci, per un totale di 37 D.O.P. diverse. Un vero e proprio “melting-pot” di varietà d’ ulivo, insomma, che conferisce all’olio Italiano caratteristiche che variano da regione a regione, anzi, da provincia a provincia; un patrimonio sensoriale dal valore inestimabile che l’NMR consente oggi di caratterizzare e tutelare. “L’olio d’oliva rappresenta solo una delle infinite applicazioni di questa tecnica in campo agroalimentare.” – mi spiega la Prof. Mannina – “Dopo il vino e i succhi di frutta, di recente abbiamo usato con successo l’NMR per tracciare insalata, pomodori, tartufi e spigola. E questo è solo l’inizio”.
Michele Fossi
Pubblicato su Slow Food 24, Marzo 2007