È uno dei documentari più attesi tra quelli presentati quest’anno in laguna, frutto di quasi tre anni di rischiose riprese sul campo nell’ Est della Repubblica Democratica del Congo funestato dalla “Guerra delle risorse”, tra le fila di ben cinque diverse milizie combattenti e le tendopoli dei campi profughi. Oltre a fornirci una ricostruzione acribica dei prodromi del conflitto e trasportarci in un angolo di terra inaccessibile e bellissimo, tra lussureggianti foreste pluviali e vulcani in eruzione, “This is Congo” del documentarista e fotografo statunitense Dan Mac Labban ha il pregio di essere, come una tragedia di Sofocle, un canto corale sul problema universale del male e del dolore, nel quale ogni spettatore, anche il meno interessato di storia africana, può facilmente riconoscersi. «Stiamo parlando del più sanguinoso conflitto dalla Seconda guerra mondiale, cinque milioni di morti in venti anni, e, paradossalmente, uno dei più dimenticati dai media internazionali», lamenta il regista. «Per questo ho scelto di raccontarlo documentando le vite di tre congolesi sui cui volti ho riconosciuto i tratti di figure antiche ed universali — l’eroe , l’eterno fuggitivo, la madre disposta a tutto per il bene dei suoi figli — davanti alle quali, mi auguro, risulterà impossibile allo spettatore rimanere indifferente e volgere altrove lo sguardo». «L’idea di questo film non nasce tuttavia tanto dal desiderio di raccontare la tragicità della guerra congolese — e infatti in esso vi troverete anche momenti di gioia e di speranza — quanto da quello di capirne le complesse dinamiche», sottolinea il regista, concludendo con un J’accuse: «Per mancanza di volontà di comprendere approfonditamente questo intricato conflitto, dove la sete per le risorse minerali del Congo si intreccia confusamente all’eredità del colonialismo e, più di recente, del vicino genocidio ruandese, troppo spesso la comunità internazionale ha somministrato al Congo cure che si sono poi rivelate peggiori del male che volevano combattere».
Pubblicato su L’Uomo Vogue, Settembre 2017
Photo credits: courtesy of Dan Mac Labban









