Interview with Bonaparte

«È come quando osservi gli anelli che si formano in un lago dopo che vi hai gettato un sasso. Io sono quel sasso. Attorno a me si è venuto a formare un gruppo di persone, che, più o meno sporadicamente, prendono parte, sia nella veste di musicisti che di performer, ai nostri spettacoli». A parlare, un occhio truccato di nero ed un improbabile abito da domatore di leoni, è lo svizzero Tobias Jundt, leader indiscusso della band Berlinese Bonaparte. Più che una band, Bonaparte è un collettivo di Performer, spiega Tobias Jundt, fondatore e leader indiscusso del gruppo musicale Berlinese, fondato nel 2006 a Barcellona e composto da un numero imprecisato e fluttuante di persone. «Il “nocciolo duro” è composto da dieci membri, a cui se ne aggiungono altre venti, tra fotografi, video-maker, ingegneri del suono e fashion editor, che ci ruotano attorno. La dinamica che ne risulta è quella di un collettivo democratico… governato da un dittatore imperiale!”. Definito dalla stampa tedesca “musica affetta da sindrome da deficienza di attenzione” , il sound della band, soprattutto nell’album di debutto, “Too Much” si rifà a semplici armonie punk, non di rado volutamente rustiche, attraverso l’utilizzo di strumenti di registrazione antiquati, “low-fidelity”, arricchite, soprattutto a partire dal secondo e terzo album, (“Remuched” (2009) e “My Horse likes you” (2010)) di sfumature elettroniche, con risultati molto originali. «Nella nostra musica confluiscono elementi troppo eterogenei, dal rock e dal punk, passando dal jazz fino al pop, perché la si possa etichettare. Direi tuttavia che voce e ritmo sono gli ingredienti principali, quelli che più rimandano all’essenziale. La musica di oggi è troppo pretenziosa. “Primitivo è il nuovo divino”, è il mio motto». Ma è sul palco che i Bonaparte esprimono al meglio la propria “diversità”, inscenando per gli spettatori un mondo surreale che pare uscito da un film di Fellini, o da un quadro di Max Ernst, popolato da un brulicante sottobosco di mangia-fuoco travestiti da conigli, ballerini mascherati da capre impegnati in incontri di boxe che saltellano attorno a musicisti con le facce dipinte di sangue, di straordinario impatto visivo. Un adrenalinico “circo del trash”, come li ha definiti il quotidiano tedesco Tagesspiegel, di cui Jundt, vestito di giacche in velluto con frange e asole dorate, è l’indiscusso direttore. «La performance era per noi inizialmente il mezzo di trasporto a cui affidavamo certe emozioni, atmosfere, ma col tempo è diventata un tutt’uno con il messaggio che trasporta, inseparabile dalla musica. Ai nostri concerti ascolti, annusi, tocchi e provi emozioni, tutto allo stesso tempo: il nostro pubblico non è un mero ascoltatore passivo, ma contribuisce attivamente allo spettacolo». Molti pezzi dei Bonaparte invitano ad abbracciare senza riserve uno stile di vita edonistico, a partire dalla loro prima hit, “Too Much” (2008), il cui refrain recita: “You know Tolstoi, I know Playboy, you know politics, I know party chicks, you know too much, too much… too much”. Loro stessi, in una recente intervista, si sono definiti un “esercito edonista”. «“Party al posto della politica”, o “Party come forma, a tutti gli effetti, di politica?”, signor Jundt?» «Non saprei dire se si tratta o meno di politica ma certamente è una presa di posizione. Ci esibiamo per creare trasporto, e celebrare la voglia di divertirsi, ma anche per ribadire l’importanza della libertà di espressione». «La musica, la performance, sono gli strumenti con cui riusciamo a creare un incredibile concentrato di energia fisica», prosegue l’artista, «che si traduce in party selvaggi, liberatori, catartici, per tutti i presenti. È stato scritto che si lascia gli show dei Bonaparte “sudati, vuoti e superfelici”. Un po’ come dopo essersi confessati… se non che il confessionale è il dancefloor ed io il vostro… “prete della notte”!». Nell’immediato futuro, i Bonaparte saranno impegnati in una trentina di date di un tour Europeo che porterà l’acclamato baraccone circense berlinese a giro per la Germania, l’Austria, la Svizzera, la Francia, la Spagna, il Belgio e l’Olanda. “Per il nostro primo tour Italiano si dovrà attendere Aprile», anticipa Jundt. Pochi mesi prima, a Gennaio è prevista infatti l’uscita in Italia, presso Warner Music”, dell’ultimo album della band, “Sorry we’re open” (2012), che dà anche il nome al tour «È la prima volta che un nostro album viene pubblicato nel vostro paese. Iniziate fin da ora a lucidare le vostre scarpe da ballo», avverte. «Ci sarà da scatenarsi!»

 

Pubblicato su L’Uomo Vogue, Novembre 2012

 

 

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