Il 12 dicembre 1969 alle 16: 37 una bomba ad alto potenziale esplode nella banca dell’agricoltura di piazza Fontana a Milano: lascia sul terreno i corpi dilaniati di 17 vittime innocenti e 88 feriti gravi. fu la ’madre’ di tutte le altre che seguirono e lasciarono una lunga scia di sangue nel nostro paese: 1970, treno freccia del sud; 1972 Peteano; 1973 questura di Milano; 1974 treno italicus; 1974 Piazza della loggia, Brescia; 1976 Piazzale Arnaldo, Brescia; 1980 stazione di Bologna. 136 morti, oltre 570 feriti, le famiglie delle vittime che ancora oggi attendono una giustizia chiara e completa: gli esecutori materiali, tutti appartenenti agli ambienti dell’estrema destra neofascista, ancora rimasti impuniti, molti tardivamente condannati, alcuni addirittura amnistiati; i mandanti rimasti sempre nell’ombra. Una ferita aperta che attende ancora una pubblica riparazione. Un’incredibile fitta trama di nessi – tra depistaggi, occultamento di prove, lentezza esasperante dei processi, intrecci di interessi tra politica internazionale, servizi segreti e altri apparati dello Stato – mai chiariti, di responsabilità mai venute davvero in luce.
Verso la metà degli anni ‘70, improvvisandosi detective, il massimo intellettuale italiano del Dopoguerra, Pier Pasolini, si mette alla ricerca della verità, giocando con la propria vita.
Michele Fossi ha incontrato per DUST Paolo Fiore Angelini, regista del film “Pasolini: cronaca di un omicidio politico”.
Da cosa nasce l’idea di questo film? Il film a cui stai lavorando avrà un titolo eloquente: “Pasolini, cronaca di un omicidio politico”. La tesi che porti avanti è che non si trattò di un omicidio passionale, come vorrebbe la versione ufficiale, bensì di un’esecuzione di matrice politica.
Il film, liberamente tratto dal libro “Pasolini. Un omicidio politico” di Andrea Speranzoni (avvocato difensore dei familiari delle vittime della strage di Bologna del 2 agosto 1980) e Paolo Bolognesi (Presidente dell’Associazione Familiari delle Vittime della Strage del 2 Agosto 1980), cerca di fare ordine nei fatti comprovati in ambito giudiziario e in ambito storico. Non formula ipotesi. Le ipotesi, se vorranno, se le faranno gli spettatori quando usciranno dalla visione del film.
A sceneggiarlo con me Andrea Speranzoni e Guglielmo Gentile.
Il film prende le mosse raccontando come l’operazione di vilipendio di Pasolini si sia intensificata dopo la strage di Piazza Fontana. Cos’era cambiato?
Dopo la strage di Piazza Fontana, Pasolini, da sempre perseguitato per non aver mai nascosto di essere omosessuale e comunista, è il primo a intervenire e con Alberto Moravia e Dacia Maraini si schiera contro i depistaggi e l’ondata di arresti di anarchici e militanti di sinistra. Pasolini interviene come non aveva fatto prima in quella che è l’attualità della politica e della società italiana. Canalizza il suo impegno per rivelare la verità su quel che stava accadendo in Italia. Intuisce prima di altri, che la strage di Piazza Fontana è un attacco alla democrazia e alla libertà messo in atto da apparati dello Stato. Per lui è fin da subito chiaro lo scopo di quella strage a cui ne seguiranno poi altre. Lui ha visto che il mondo cambiava, la storia cambiava, che era in corso una mutazione che non avrebbe poi lasciato speranze.
E sarebbe?
Il mondo di oggi. Dove la cultura è diventata la società dello spettacolo. Dove tutto è consumo. La globalizzazione e l’umanità asservita al potere delle multinazionali. Il suo pensiero però non era una novità. A denunciare che la cultura del consumo, della mercificazione stava trasformando la società erano in tanti, prima di lui Alberto Moravia ad esempio con “L’uomo come fine”. Pasolini però comunica diversamente dagli altri. Testimoniava attraverso l’emotività e non solo attraverso le idee.
Pasolini nel settembre del ’74 interviene alla Festa de L’Unità e a proposito della scissione che il potere ha posto in essere tra progresso e sviluppo, citando Eugenio Cefis, in quel momento presidente della Montedison, dirà:
“Qual è lo sviluppo che questo potere vuole? Se volete capirlo meglio leggete quel discorso di Cefis agli allievi di Modena… e vi troverete una nozione di sviluppo come potere multinazionale …. Si sta assestando una forma di fascismo completamente nuova e ancora più pericolosa… E’ in corso nel nostro paese una sostituzione di valori e di modelli, sulla quale hanno avuto grande peso i mezzi di comunicazione di massa e in primo luogo la televisione.”
Pasolini è stato uno di quelli che con maggiore coscienza si è buttato in questo discorso. Coglie prima di altri le trasformazioni in corso. Il cambiamento antropologico del paese. Riflette su fatti di cronaca e accumuna i ricchi neofascisti dei Parioli protagonisti del massacro del Circeo con i proletari e i sottoproletari, protagonisti di altrettanti crimini, di Torpignattara e Cinecittà. Nessuna differenza tra i borghesi dei Parioli e gli abitanti delle borgate. Parla di ambiente criminaloide di massa. Il 18 ottobre 1975, a pochi giorni dall’omicidio, scrive sulle pagine del Corriere della sera:
“Il consumismo che ha distrutto cinicamente un mondo “reale”, trasformandolo in una totale irrealtà, dove non c’è più scelta possibile tra male e bene”
Quindi, dicevamo, Pasolini in quegli anni si mette, come un vero detective, alla ricerca della verità sulla strage di Piazza Fontana.
Perché a partire dalla strage per lui cambia tutto, come ho già detto. Non dimentichiamoci che gli anni di Pasolini sono gli anni di piombo, si spara per strada. Si muore per strada. Sono gli anni più difficili per l’Italia. Sono gli anni delle stragi, gli anni del terrorismo. Dopo la strage Pasolini realizza un film, 12 dicembre, in collaborazione con Lotta Continua, una delle piu’ significative formazioni dell’estrema sinistra extraparlamentare. Il film è una controinchiesta, la cui tesi è quella della strage di stato. E la cosa, chiaramente, non passa inosservata ai servizi segreti.
Ci sono delle prove?
Sì, esistono documenti, anche se molti probabilmente sono spariti, che rivelano che Pasolini era attenzionato dai servizi segreti. Perché stava collaborando con Lotta Continua, certo, ma anche, e soprattutto, perché non faceva mistero di voler dimostrare che la strage di Piazza Fontana, diversamente dalla versione ufficiale, non era stata opera degli anarchici, bensì della destra eversiva italiana: Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale, con la regia dei servizi segreti. Non dimentichiamo che a Milano in quelle ore in quei giorni, quando uccidono Giuseppe Pinelli e arrestano Valpreda, alla questura chi governa per davvero è l’Ufficio Affari Riservati del ministero degli Interni il cui direttore e l’onnipotente Federico Umberto D’amato.
Poi comunque c’è da dire che i servizi segreti guardavano con attenzione a tutto e a Pasolini in particolare: un intellettuale che aveva una grande influenza sulla vita culturale, il che voleva dire anche influenza sulla vita politica.
Il tuo film unisce immagini di repertorio, spezzoni di film di materiale di stampa e fotografia, e interviste a persone ancora vive, come la nota scrittrice italiana Dacia Maraini.
Dopo l’arresto di Valpreda, indicato come l’autore della strage di Piazza Fontana, Pasolini, Alberto Moravia e Dacia Maraini, costituiscono il comitato unitario contro la repressione: dopo la strage, ci furono infatti oltre 80 arresti immediati e pretestuosi, soprattutto tra gli ambienti anarchici.
L’iniziativa finì nel mirino de Lo Specchio con il titolo Complicità morale con gli assassini. Dacia Maraini venne indicata come “anziana passeggiatrice per le pagine dei manuali pornografici” e Pasolini come “invertito”.
Niente di strano: l’omosessualità fu una “colpa” che espose Pasolini, durante tutta la sua carriera, a continui attacchi e insinuazioni.
Non dimentichiamo che nella mentalità fascista, l’omosessualità è una delle massime degenerazioni. L’omosessuale è visto come colui che cerca solo piacere senza scopi riproduttivi e durante il fascismo l’omosessualità era un reato. L’omosessualità servì poi a depistare il suo assassinio brutale.
Dopo la strage e il film 12 dicembre Pasolini inizia a scrivere sulle pagine del Corriere della Sera. In quel periodo, inizia a scrivere Petrolio, un’opera controversa e ambiziosa, rimasta sfortunatamente incompiuta.
Un’opera in cui Pasolini è più libero di quanto può esserlo sulle pagine dei quotidiani, nella quale scrive “io so, ma non ho le prove”. Tradotto: “io collego i fatti, comprendo lo schema delle trame che sono alla base della strategia della tensione”. Sui quotidiani non può scrivere o fare affermazioni se non ha le prove, nel romanzo invece sì. Questa opera, seppur incompiuta, sarà oggetto di interesse anche per Vincenzo Calia, il magistrato che indaga su ENI e Mattei.
Petrolio non è un saggio o una controinchiesta: è un’opera letteraria il cui centro sono le stragi. Nell’ “appunto 103” , entrando nello specifico della strage di piazza Fontana e alludendo alle indagini di Gerardo D’Ambrosio, lo scrittore parla di testimoni scomodi e della loro tragica fine. E cioè dell’avvocato Vittorio Ambrosini, precipitato dal quarto piano di una clinica dove era ricoverato; e di Alberto Muraro, precipitato nella tromba dell’ascensore del palazzo di Padova dove era impiegato come portiere.
Petrolio contiene riferimenti a persone realmente esistite?
Tra i personaggi reali in Petrolio c’è quello di Eugenio Cefis, figura centrale del romanzo, chiamato nella finzione Aldo Troya, che Pasolini indica come responsabile della morte di Mattei. Pasolini intendeva inserire nel romanzo alcuni discorsi del presidente della Montedison, in particolare quello che aveva tenuto all’accademia militare di Modena, che aveva per titolo “La mia patria si chiama multinazionale”. Voleva inserirlo proprio al centro di Petrolio perché lo considerava estremamente significativo per raccontare quello che stava accadendo in Italia. Anche il potere era mutato, da un potere di stampo clerico-fascista si era passati a un potere multinazionale, criminale e mafioso, quello appunto che aveva ordito anche le stragi.
Il romanzo uscirà nel 1992, ben diciassette anni dopo l’omicidio. Perché così tanti anni dopo? I discorsi di Eugenio Cefis che Pasolini teneva nelle carte di Petrolio per inserirli tali e quali dentro nel libro –– cosa strana – non sono stati pubblicati.
Pasolini fu barbaramente ucciso nella notte tra il 1º e il 2 novembre 1975. L’indagine fu chiusa fin da subito, con il fermo di Giuseppe Pelosi, un giovane prostituto con il quale, secondo la versione ufficiale, Pasolini si sarebbe appartato per fare del sesso in auto. Pelosi si accollò subito l’omicidio.
Una conclusione che andò bene a molti, anche se palesemente inverosimile.
Perché inverosimile?
Pasolini fu trovato coperto di sangue, massacrato di botte. Pelosi non aveva nessuna traccia di sangue. Fin da subito l’immagine di Pasolini fu distorta attraverso una serie di informazioni falsate col preciso scopo di cancellarlo come persona che stava riflettendo sulla drammatica situazione italiana. Il giorno stesso della morte partì la campagna denigratoria nei suoi confronti, anzi la sua stessa morte fu usata come arma per screditarlo. La deposizione di Pelosi fu diffusa già nelle prime ore come unica verità. Una palese violazione del segreto istruttorio. I media si uniformarono acriticamente a quella verità. Pasolini aveva aggredito sessualmente un minorenne che si era difeso uccidendolo.
Nessuno ebbe niente da ridire?
Poche furono le voci fuori dal coro. Tra queste, Oriana Fallaci, che sulle pagine dell’Europeo, fin da subito, racconta un’altra versione. Non sarà la sola, ma rimarrà comunque una voce isolata e inascoltata. Colpisce, in quello stesso periodo, la reazione di importanti intellettuali di sinistra. Anzi sulla morte di Pasolini sinistra e destra convergono, vanno a braccetto. Eco, Sanguineti, Pintor, lasciano intendere che quella morte il poeta se l’era andata a cercare. Frequentando certi ambienti ambigui e – non ci voleva molto ad immaginarselo – talvolta persino pericolosi, come quello della prostituzione omosessuale maschile, Pasolini aveva scherzato col fuoco, e finito per rimetterci le penne.
Come recita il detto napoletano, “chi va per certi mari, certi pesci piglia”. Come spieghi questi attacchi provenienti da illustri colleghi? Perché questo fuoco amico?
Pasolini era un personaggio scomodo per tutti, anche per quella sinistra in rapida trasformazione. Sulla sua morte c’era fretta di chiudere il sipario. La società del consumo, il benessere, aveva poi messo d’accordo, corrotto, un po’ tutti. Piaceva anche alla sinistra. E Pasolini che professava la povertà era considerato ambiguo. La sua condizione di uomo di successo e di ricco che predicava la povertà era una contraddizione su cui molti insistevano. Era stato povero ed era diventato ricco. C’era una contraddizione oggettiva che non gli veniva perdonata. Pintor, lo attacca anche nel giorno della sua morte. Dalle pagine del Manifesto pone in evidenza il Pasolini ricco che si aggira per le borgate in una “fuoriserie preraffaellita”, e cioè un’auto di lusso, l’Alfa GT, appunto.
Ci fu anche chi scrisse che Il vangelo secondo Matteo sarebbe stata un’opera profetica, nella quale Pasolini, rappresentando il martirio del Cristo, tradirebbe, seppur per via indiretta, un suo ‘cupio dissolvi’, un suo desiderio di morire.
Quell’opera non fu profetica di un bel niente. Pasolini non voleva morire. Quando fu ucciso, era impegnato in progetti molto importanti, cui teneva molto, come un film con Eduardo De Filippo, e poi ovviamente Petrolio. Ebbe modo di scriverne solo cinquecento pagine sulle duemila che aveva messo in conto di scriverne. Una perdita enorme, incalcolabile.
Questa “seconda morte”, di cui gli artefici furono quegli intellettuali che avrebbero dovuto mostrargli vicinanza, fu la più forte, oltre che più odiosa, perché contribuì a censurare il suo pensiero. Su Pasolini, scenderà una cortina di silenzio, che durerà anni. Si pensi che Salò, il suo ultimo film, sarà censurato e presentato in sala solo sette anni dopo. Lo stesso Petrolio, decurtato di una parte sostanziale – la parte politica – uscirà 17 anni dopo. Il critico letterario Aureglio Roncaglia, nella postfazione del libro, a proposito di questo ritardo parlerà di “ragioni di opportunità”, “per evitare il rischio di letture fuorvianti”. Un’affermazione molto strana. Quando uscirà il mondo era cambiato, ormai irrimediabilmente.
Andiamo adesso sulla scena del crimine. Cosa successe quella notte tra l’1 e il 2 novembre 1975?
Secondo la versione ufficiale, Pasolini va all’Idroscalo di Ostia con un giovane ragazzo di vita, Giuseppe Pelosi il quale, per difendersi delle presunte avance sessuali dello scrittore, ingaggia con lui una colluttazione e lo uccide. Secondo questa versione, sarebbe Pelosi l’unica persona presente sul luogo del delitto e l’unica responsabile del crimine.
E invece questa versione fa acqua da tutte le parti.
Eh sì. Tanto per cominciare, nel primo grado di giudizio Pelosi è condannato in concorso con ignoti. Non è solo dunque e non ci vuole molto a crederlo. D’altronde è inverosimile che Pelosi, da solo, avesse potuto conciare in quel modo un uomo fisicamente forte come Pasolini. Il messaggio della sentenza è molto preciso. Vuol dire che la Procura della Repubblica può continuare a indagare per cercare gli ignoti che hanno concorso con Pelosi condannato. Ma in Appello, nella sentenza di secondo grado, gli “ignoti” scompaiono. Così Pelosi ha agito da solo. C’è da dire che una sentenza di secondo grado che riforma quella di primo grado solo nel punto del concorso con ignoti è insolita per non dire inspiegabile. Il concorso con altre persone non aggrava la pena. Non c’è alcun interesse da parte della giustizia di escludere il concorso con ignoti, se non per impedire altre indagini. Pertanto con la sentenza di secondo grado confermata in cassazione, Pelosi diventa l’unico assassino di Pasolini.
Si può dire insomma, molto in generale, che le indagini furono condotte con il proposito di ridurre il delitto a un sex date finito male.
Sì, quella doveva essere la cornice. La dice lunga il fatto che la scena del crimine, fin dall’inizio, fu lasciata deliberatamente incustodita. Ancor più incomprensibile è che gli abitanti delle baracche che circondavano lo sterrato dove fu rinvenuto il corpo di Pasolini, dove avvenne l’omicidio, non furono sentiti; le dichiarazioni a caldo di chi invece raccontò di aver visto o sentito, inspiegabilmente, non furono verbalizzate. Ufficialmente nessuno sentì o vide niente. Nessun testimone. Eppure il 4 novembre la testimonianza di un abitante apparve nero su bianco sulla Stampa. Un pescatore, abitante di quelle baracche all’Idroscalo, intervistato da Furio Colombo, riferì che quella notte c’erano più persone a colpire mortalmente Pasolini. Un testimone importante: eppure nemmeno lui fu mai sentito dall’autorità giudiziaria. A questo si aggiungano le vistose incongruenze per quanto riguarda gli orari.
Quali?
Il cadavere viene ufficialmente rinvenuto da una famiglia che abita in quelle baracche e che inizialmente lo scambia per un sacco dell’immondizia, per poi avvicinarsi e scoprire, con orrore, che si tratta di un corpo esanime terribilmente devastato. Sono i primi ad avvisare la polizia che arriva sulla scena intorno 7 del mattino. La mattina stessa, l’attore Ninetto Davoli darà un nome a quel cadavere: quel corpo è di Pier Paolo Pasolini. Pelosi, intanto, è già in galera. Interrogato nel carcere Minorile di Casal del Marmo riferisce la sua versione. Versione che poche ore dopo, al TG delle 20:30 di quello stesso giorno, verrà prontamente divulgata al pubblico italiano. La RAI, all’epoca l’unico network televisivo italiano, avalla immediatamente la versione di Pelosi. In barba alla legge, che all’epoca prevedeva il silenzio stampa durante la fase preliminare delle indagini.
C’è insomma una gran fretta di avallare la versione di Pelosi. Una fretta sospetta.
Sì, una fretta strana, che però mette tutti d’accordo a parte pochi. Ad esempio Luigi Bloise, socialista e membro della commissione parlamentare di vigilanza Rai, interverrà dalle pagine di Paese Sera il 9 novembre con una lettera indirizzata a Giacomo Sedati, presidente di quella stessa commissione, per denunciare il modo con cui la televisione di stato ha trattato la morte di Pasolini raccontando a milioni di cittadini una verità di comodo, citando: “Anche in questo caso, come per le bombe di Milano, per Pinelli e per cento altri episodi della strategia della tensione, ai responsabili dell’informazione televisiva tutto è stato subito chiaro… la verità delle questure”.
La scena e l’orario del crimine, insomma, vengono completamente modificati.
Diciamo che non c’è chiarezza, tutto è molto approssimativo. Come dicevo il campetto dove Pasolini viene ucciso era circondato da baracche. Gli abitanti di quelle costruzioni fatiscenti racconteranno di aver sentito urla per 20 e 30 minuti. Le descrivono come le grida strazianti di un uomo che cerca disperatamente aiuto. Queste testimonianze in presa diretta, preziosissime, nessuno le leggerà mai nell’aula di un tribunale. Non furono mai verbalizzate. Le uniche parole ascoltate furono quelle di Pelosi che si autoaccusava dell’omicidio. Così questi testimoni capirono dall’insistenza dei media che avvallavano la versione di Pelosi che quella anche per loro era la versione da dare.
E lei come ne è venuto a conoscenza?
Il testimone che aveva riferito a Furio Colombo, qualche giorno dopo in un intervista rilasciata al Messaggero, negherà quello che aveva dichiarato precedentemente. Dormiva e non aveva visto e sentito nulla.
Altro fatto curioso, Pelosi cambia dopo pochi giorni l’avvocato che lo difende. Un giornalista del Tempo, Francesco Salomone, iscritto alla Loggia P2, propone ai genitori di Pelosi il difensore Rocco Mangia. Mangia è un principe del Foro, in quel momento tra i suoi assistiti figura uno dei neofascisti responsabili del massacro del Circeo. La famiglia di Pelosi è povera, non può certamente permettersi un avvocato come Mangia, eppure sarà lui a difenderlo. L’avvocato per questo caso avrà poi due consulenti d’eccezione. Due psicologi medici tra i più importanti che in quel momento vi erano in Italia. Franco Ferracuti professore ordinario e consulente del Ministero degli Interni, iscritto alla Loggia P2 e Aldo Semerari, uomo di estrema destra, coinvolto nel processo per la strage di Bologna.
E ancora una volta spunta il nome della P2.
Anche Franco Ferracuti era un uomo della P2. Fu uno dei protagonisti del pool nella vicenda Aldo Moro al ministero degli Interni, ministro Francesco Cossiga. Pool istituito durante il rapimento Moro, interamente composto da affiliati della loggia. Una commissione la cui vera funzione era far fallire le trattative per il rilascio dell’Onorevole Aldo Moro.
Accuse molto pesanti – Possiamo circostanziarle?
Ci sono fatti che fanno pensare che l’omicidio Moro sia stato un colpo di stato. Gelli, la P2, la strategia della tensione, destabilizzare per stabilizzare. E’ la storia del nostro Paese. Lo dicono le sentenze dei processi per strage. Cossiga durante il rapimento istituirà questo pool, questo comitato, i cui componenti erano tutti uomini della P2, tra cui Franco Ferracuti, e il consigliere americano Steve Pieczenik. Si doveva impedire a tutti i costi a Berlinguer, il segretario del Partito Comunista Italiano, di arrivare al potere. Questo giusto per inquadrare quadro di chi sono i due consulenti alla difesa di Pelosi.
E ancora una volta spunta il nome della p2.
La versione precedente che lui ha cambiato era questa… accusava apertamente Kissinger.
Anche Franco Ferracuti era un uomo della p2. Egli sarà parte di quella commissione speciale creata dal Ministro degli Interni Francesco Cossiga durante il rapimento Moro, interamente composta da affiliati della loggia. Una commissione la cui vera funzione – si è scoperto in seguito – era esattamente quella opposta per cui era stata ufficialmente creata: fare fallire le trattative per il rilascio di Moro. Moro, su richiesta esplicita dell’allora presidente americano Kissinger, doveva morire.
Accuse molto pesanti – un presidente americano che, seppur indirettamente, firma la condanna a morte di un primo ministro di un paese alleato rapito dai terroristi. Possiamo circostanziarle?
Moro fu ammazzato su richiesta di Kissinger. L’ordine passerà a Cossiga, che istituisce questa commissione dove, insieme a dodici uomini della p2, prende parte anche un uomo della CIA. Questo giusto per darle un quadro di chi sono i due uomini che lavoreranno alla difesa di Pelosi.
Se dunque l’omicidio di Pasolini, per citare il titolo del film, è un omicidio politico, quale inconfessabile verità si voleva nascondere chiudendo per sempre la bocca allo scrittore?
La risposta non è solo una. Ed è il racconto di questo film su cui ho lavorato. Pasolini fu assassinato da un pestaggio cui presero parte più persone. Sei, sette. Durò a lungo, almeno trenta minuti. Fin da subito le indagini furono orientate con l’unico scopo di impedire che emergesse la verità. Prima le indagini e poi la sentenza di appello saldarono la morte di Pasolini alla storiella di Pelosi. Pasolini è assassinato mentre denuncia e porta alla luce il volto di quel potere che in Italia ha determinato stragi, attentati e condizionamenti economico sociali.
Un anno prima della morte, dalle pagine del Corriere della Sera aveva scritto “io so, ma non ho le prove”. Pasolini aveva capito e forse quando morì aveva anche le prove. A distanza di tanti anni, oggi potremmo dire che Pasolini, da intellettuale aveva capito. Le prove sono emerse dopo. Oggi, dopo tutti i processi, anche quelli più recenti, si può dire che quelle prove oggi ci sono.
Michele Fossi
Pubblicato su DUST #21, giugno 2022
