Un nuovo film d’autore al giorno, selezionato da un team di curatori ed in bacheca per un mese. Questo il concept minimal ed elegante, piacevolmente incentrato sulla qualità piuttosto che sulla quantità, con il quale la piattaforma di streaming di film d’autore MUBI ha sedotto le case di moda: dall’inizio dell’anno si sono susseguite collaborazioni con Prada (da cui è nato il progetto “Perfect Failures”, dedicato ai flop cinematografici degni di essere rivalutati), con Hedi Slimane, e, più di recente, con Bottega Veneta, che a fine luglio ha affidato a MUBI il lancio del documentario “Bottega Veneta: men”. Idem per Valentino, che lo scorso febbraio ha scelto la piattaforma per distribuire “The Staggering Girl”, il corto nato dal connubio artistico tra Luca Guadagnino e Pierpaolo Piccioli. «Collaborazioni che mostrano come le maison, oggi come mai impegnate in una diversificazione delle proprie strategie comunicative, vedano sempre più nel cinema d’autore un linguaggio per parlare al proprio pubblico», dichiara il CEO e fondatore Efe Carakel. L’imprenditore turco passa poi a snocciolare i numeri della crescita record fatti registrare dalla sua “cineteca online” dall’inizio della pandemia: +200% di nuove iscrizioni nel corso dei primi sei mesi dell’anno, con un picco del +260% in Italia, a fronte del +5.6% di Netflix. «Durante il lockdown sempre più persone si sono rese conto di quanto sia frustrante cercare un film d’avanguardia o un classico sulle titaniche piattaforme mainstream. Lo psicologo americano Barry Schwartz lo ha battezzato “paradosso della scelta”: lungi dal lusingarci, trovarsi davanti a troppe opzioni ci stressa e ci rende infelici. La crescita di MUBI mostra quanto sia forte, in questa cacofonica epoca caratterizzata da una sovrabbondanza di informazioni, l’appetito per progetti di nicchia fortemente curati, dove l’onere di scegliere i contenuti è delegato ai massimi esperti in materia. Una formula di business, ne sono certo, esportabile anche in altri settori».
A soffiare il vento in poppa a favore di MUBI — stando a una ricerca interna dell’azienda — contribuisce un’altra tendenza: la crescita di sfiducia presso i giovanissimi nei confronti degli algoritmi di suggerimento delle grandi piattaforme di streaming, accusati di restringere troppo il campo in base a poche scelte iniziali, e, troppo spesso, di fare cilecca. “La risposta emotiva ad un film è così soggettiva, forte, e così squisitamente umana, che, a differenza della musica, non si lascia facilmente parametrizzare. Col risultato che gli algoritmi ci suggeriscono i film sbagliati. Si è mai visto del resto un algoritmo piangere davanti a un film, o guardare un film mano nella mano con un altro algoritmo?”
Pubblicato su Vogue Italia, settembre 2020