THE KINGDOM OF DREAMS

Una guerra senza quartiere tra due magnati del lusso combattuta a colpi di sfilate e pagine pubblicitarie su Vogue, durante le quali il fashion business, uscendo per la prima volta dai circoli tradizionali ed elitari dell’alta moda di Parigi, Milano, Londra e New York si trasforma in un fenomeno globale, in grado di far sognare le masse. Ce ne svela i retroscena Kingdom of Dreams – I nuovi sovrani della moda, la docuserie in quattro episodi creata da Ian Bonhôte e Peter Ettedgui (gli stessi autori dell’acclamata fashion serie McQueen), dal 25 febbraio disponibile anche in Italia in esclusiva su Sky Documentaries (per il terzo e quarto episodio occorrerà attendere invece il 4 marzo). Attraverso interviste ad autorevoli addetti ai lavori, da André Leon Talley a Stephen Jones, e prezioso materiale prelevato da archivi personali mai prima aperti al pubblico, i quattro episodi seguono i destini incrociati di sette personaggi-chiave destinati a cambiare la moda per sempre, in un arco temporale che va dai primi anni ‘90 al 2013: quattro stilisti fuoriclasse, John Galliano, Alexander McQueen, Marc Jacobs e Tom Ford; due magnati del lusso in spietata concorrenza tra di loro, Bernard Arnault (LVMH) e Francois Pinault (Gucci Group); e infine l’eminenza grigia che, in tutti quegli anni, sussurrando i nomi giusti agli orecchi giusti nei momenti giusti, svolgerà il cruciale ruolo di collante tra mondo del business e quello della creatività: la potente direttrice di Vogue America Anna Wintour. 

Con un plot dal sapore shakespeariano, costellato da rivalità personali, tradimenti, brutali detronizzazioni e continui colpi di scena, i quattro episodi della miniserie, basata sul libro bestseller di Dana Thomas Deluxe: Come il lusso ha perso il suo splendore, ricostruiscono in ordine cronologico le principali tappe di una metamorfosi che porteranno l’alta moda, da settore in crisi agli inizi degli anni ‘90, a risorgere, nel giro di pochi anni, come una fenice dalle sue ceneri, e trasformarsi in un business miliardario. Prendendo le mosse dall’arrivo sul palcoscenico dell’alta moda parigina di Bernard Arnault, un imprenditore determinato a fondare il più potente agglomerato di brand di lusso, e dalla nomina di John Galliano come direttore creativo di Dior e Alexander McQueen di Givenchy,  Kingdom of Dreams passa poi a raccontare l’ inattesa rinascita di Gucci, un polveroso marchio prossimo alla bancarotta, con l’arrivo di Tom Ford; l’entrata in scena di un secondo tycoon, François Pinault e la nascita del Gucci Group; l’evoluzione di Louis Vuitton in un marchio di abbigliamento, e non più solo di valigie e borse, sotto l’egida di Marc Jacobs, prendendo poi in rassegna l’impatto che le forze messe in moto da questi eventi avranno nei quindici anni successivi  sull’intero settore, cambiandone, nel bene e nel male, il volto per sempre.
In un’oscillazione continua tra luce e ombra, Kingdom of Dreams rappresenta non solo un’occasione preziosa per rivivere l’emozione di alcune delle sfilate che più hanno fatto storia (da “Princess Lucretia” di John Galliano (S/S94), con le modelle che corrono sulla passerella come ninfe spaventate rincorse da un fauno, all’indimenticabile sfilata S/S99 di Alexander McQueen con i bracci robotici sputa-vernice), ma anche per esplorare il dark side di un business dalla coscienza tutt’altro che pulita, che, come la luna, ama mostrarci solo il suo lato luminoso.

L’evoluzione delle case di moda in “brand del sogno” capaci di inebriare le masse, spianerà la strada alla proliferazione della moda low-cost, trasformando il settore dell’abbigliamento, a partire dal nuovo millennio,  nella seconda industria più inquinante del mondo. Un vero pugno nello stomaco attende lo spettatore nel corso del terzo episodio, quando le immagini della rossa montagna di detriti messa in scena nel 2009 da Alexander McQueen per la sua sfilata “Horn of Plenty” cedono il passo, inaspettatamente, ai filmati raffiguranti montagne di stracci nelle discariche dei paesi in via di sviluppo; non meno dolorose, le immagini di repertorio che documentano il disastro di Rana Plaza, a Savar, in Bangladesh, che nel 2013 costa la vita ad oltre mille impiegati di cinque fabbriche di abbigliamento. Immagini che  ci ricordano che la moda globalizzata è anche questo: un Moloch implacabile, ossessionato dal profitto, che periodicamente reclama le sue vittime. A finire tra le sue fauci, oltre ai diseredati che lavorano nelle fabbriche, saranno persino i “principi” del Regno dei Sogni, i quattro stilisti protagonisti della serie. Schiacciati dal peso della responsabilità di un business miliardario interamente sulle loro spalle, tutti e quattro i wunderkinder della moda si abbandoneranno all’abuso di alcol e droghe; nel 2010 McQueen arriva a togliersi la vita.  Il bacio del corporate money – questa l’amara constatazione suggerita dalla docuserie  – alla lunga risulterà avvelenato, se non addirittura letale, per i creativi. Perdono anche i consumatori, che pur di accedere al “Regno dei Sogni”, non fosse acquistando un rossetto griffato, vengono indotti ad accettare prezzi al dettaglio gonfiati all’inverosimile, che nel caso delle borse – rivela Dana Thomas nel corso del primo episodio – possono essere anche 25-30 volte superiori al prezzo di produzione.   «Quello che i due tycoon del lusso ci vendono è un sogno fatto di bellezza, materiali pregiati ed esclusivi design, che mi ricorda molto la Città di Smeraldo nel Mago di Oz», commenta la giornalista di moda statunitense con parole di grande disincanto. «All’apparenza bellissima, si scopre poi che è la simulazione di un uomo seduto dietro a una tenda, davanti ad una macchina con la quale  accende artificialmente lo scintillio degli smeraldi. Fumo negli occhi, e niente più». Gli unici veri vincitori si riveleranno i potenti: l’impero di François Pinault è stimato oggi in 30 miliardi; nel 2021, Bernard Arnault, a capo di un impero commerciale stimato in 200 miliardi, corona il suo antico sogno di diventare l’uomo più ricco del mondo. ​«Alla fine i tycoon regnarono onnipotenti sul Regno dei Sogni», conclude Thomas  parafrasando ironicamente il tono della fiaba. «Intoccabili, il lato triste e sporco del lusso non ne imbrattò mai le vesti». 

Dior Spring/Summer 1998 haute couture collection, but John Galliano (Photo by Stephane Cardinale/Sygma)

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